lunedì 18 febbraio 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (18 febbraio 2019)


Negli ultimi mesi questa piccola rubrica ha dedicato spesso la propria attenzione alle prossime elezioni Europee. Non lo abbiamo fatto solo per la passione di chi scrive verso le questioni continentali, ma per dare una chiave di lettura anche interna a quelle che sono le posizioni in gioco. Oggi molte previsioni vengono confermate dai primi sondaggi dell'Europarlamento.

Il fronte formato da Ppe e Pse, per la prima volta dal 1979 – anno in cui si votò d'esordio del suffragio universale- dovrebbe perdere la maggioranza assoluta dei seggi (il dritto).

Per una maggioranza europeista servirà il contributo dei Liberali, con le forze cosiddette “sovraniste” che vengono date in grande crescita e la Lega che contende alla Cdu della Merkel il ruolo di partito maggiormente rappresentato (il rovescio).

Obiettivamente chi analizza le vicende europee aveva già intuito da settimane che questa era la strada intrapresa e non poteva essere letta in maniera diversa l'azione del presidente francesce Macron (il cui partito En Marche potrebbe essere superato internamente dal Fronte Nationale) contro l'Italia, con lo schieramento delle forze “tradizional europeiste” (usiamo questo termine) con lui e contro il fronte “diversamente europeista” (per non definirlo “sovranista”).
Obiettivamente che questa Europa non piaccia più ai cittadini è evidente. E lo è talmente tanto che lo stesso Matteo Renzi quando iniziò la sua scalata al Pd puntava il dito contro i colleghi di partito troppo “leggeri” con Bruxelles. Una volta giunto alla guida dei democratici ed al Governo, però, Renzi non seppe fare diversamente. Cosa che invece, al momento, sta facendo l'alleanza “gialloverde”. Che lo faccia bene o male è un altro conto, però ha aperto diversi fronti che, in Europa, stanno facendo breccia dimostrando anche come molti paesi stiano “predicando bene e razzolando male” (per usare un termine popolare). Più volte l'esecutivo italiano è andato vicino alla rottura, arrivando poi ad un accordo con Bruxelles, che sapeva molto di temporeggiamento da entrambe le parti,in attesa del voto di maggio.
E' chiaro che il Parlamento Europeo che uscirà dalle urne sarà sicuramente più promiscuo dei precedenti e, forse, grazie a questo andrà ad assumere un ruolo più importante, anche nell'immagine collettiva, di quella avuta fino ad oggi. E' altrettanto evidente che la stessa Commissione – fino ad oggi dura con l'Italia- avrà una matrice “diversamente europeista” più forte di quella “tradizional europeista” che ha avuto fino ad oggi. Molti paesi a trazione sovranista, infatti, andranno ad indicare i propri commissari e questi non saranno certamente rigidi nei confronti dei propri Governi. Della serie: un conto per l'Italia è avere la Mogherini, un conto un uomo di fiducia dell'attuale Governo. Di certo molti esponenti della stessa Commissione sarebbero molto più prudenti nelle loro esternazioni contro l'Italia rispetto ad oggi, quando chi dovrebbe rappresentare il proprio Paese, di fatto, è apparsa quasi estranea a questa vicenda. Se poi ci sommiamo altri commissari nominati da Governi che mettono la propria nazionale al centro, allora si capisce che chi dovrà presiedere questo organo dovrà essere un ottimo equilibrista. In tutto ciò, è inutile negarlo, l'Italia fa paura a chi, in Europa, non vuol cambiare. La fa perché ha un peso rilevante e questo potrebbe incidere nelle prossime votazioni ponderate. All'Italia basta allearsi con pochi altri paesi – magari del patto di Visegrad- per bloccare le decisioni. E' bastata l'astensione italiana sul Venezuela che il documento europeo, di fatto, è saltato. Basta che l'Italia dica di no al bilancio e questo si blocca. Insomma al momento la partita di scacchi continua, ma dopo il 26 maggio che cosa accadrà? La sensazione è che l'Europa cambierà. In meglio o in peggio lo dirà il tempo, ma sembra che si possa essere di fronte all'inizio di una nuova era continentale.