Negli ultimi mesi questa
piccola rubrica ha dedicato spesso la propria attenzione alle
prossime elezioni Europee. Non lo abbiamo fatto solo per la passione
di chi scrive verso le questioni continentali, ma per dare una chiave
di lettura anche interna a quelle che sono le posizioni in gioco.
Oggi molte previsioni vengono confermate dai primi sondaggi
dell'Europarlamento.
Il fronte formato da Ppe
e Pse, per la prima volta dal 1979 – anno in cui si votò d'esordio
del suffragio universale- dovrebbe perdere la maggioranza assoluta
dei seggi (il dritto).
Per una maggioranza
europeista servirà il contributo dei Liberali, con le forze
cosiddette “sovraniste” che vengono date in grande crescita e la
Lega che contende alla Cdu della Merkel il ruolo di partito
maggiormente rappresentato (il rovescio).
Obiettivamente chi
analizza le vicende europee aveva già intuito da settimane che
questa era la strada intrapresa e non poteva essere letta in maniera
diversa l'azione del presidente francesce Macron (il cui partito En
Marche potrebbe essere superato internamente dal Fronte Nationale)
contro l'Italia, con lo schieramento delle forze “tradizional
europeiste” (usiamo questo termine) con lui e contro il fronte
“diversamente europeista” (per non definirlo “sovranista”).
Obiettivamente che questa
Europa non piaccia più ai cittadini è evidente. E lo è talmente
tanto che lo stesso Matteo Renzi quando iniziò la sua scalata al Pd
puntava il dito contro i colleghi di partito troppo “leggeri” con
Bruxelles. Una volta giunto alla guida dei democratici ed al Governo,
però, Renzi non seppe fare diversamente. Cosa che invece, al
momento, sta facendo l'alleanza “gialloverde”. Che lo faccia bene
o male è un altro conto, però ha aperto diversi fronti che, in
Europa, stanno facendo breccia dimostrando anche come molti paesi
stiano “predicando bene e razzolando male” (per usare un termine
popolare). Più volte l'esecutivo italiano è andato vicino alla
rottura, arrivando poi ad un accordo con Bruxelles, che sapeva molto
di temporeggiamento da entrambe le parti,in attesa del voto di
maggio.
E' chiaro che il
Parlamento Europeo che uscirà dalle urne sarà sicuramente più
promiscuo dei precedenti e, forse, grazie a questo andrà ad assumere
un ruolo più importante, anche nell'immagine collettiva, di quella
avuta fino ad oggi. E' altrettanto evidente che la stessa Commissione
– fino ad oggi dura con l'Italia- avrà una matrice “diversamente
europeista” più forte di quella “tradizional europeista” che
ha avuto fino ad oggi. Molti paesi a trazione sovranista, infatti,
andranno ad indicare i propri commissari e questi non saranno
certamente rigidi nei confronti dei propri Governi. Della serie: un
conto per l'Italia è avere la Mogherini, un conto un uomo di fiducia
dell'attuale Governo. Di certo molti esponenti della stessa
Commissione sarebbero molto più prudenti nelle loro esternazioni
contro l'Italia rispetto ad oggi, quando chi dovrebbe rappresentare
il proprio Paese, di fatto, è apparsa quasi estranea a questa
vicenda. Se poi ci sommiamo altri commissari nominati da Governi che
mettono la propria nazionale al centro, allora si capisce che chi
dovrà presiedere questo organo dovrà essere un ottimo equilibrista.
In tutto ciò, è inutile negarlo, l'Italia fa paura a chi, in
Europa, non vuol cambiare. La fa perché ha un peso rilevante e
questo potrebbe incidere nelle prossime votazioni ponderate.
All'Italia basta allearsi con pochi altri paesi – magari del patto
di Visegrad- per bloccare le decisioni. E' bastata l'astensione
italiana sul Venezuela che il documento europeo, di fatto, è
saltato. Basta che l'Italia dica di no al bilancio e questo si
blocca. Insomma al momento la partita di scacchi continua, ma dopo il
26 maggio che cosa accadrà? La sensazione è che l'Europa cambierà.
In meglio o in peggio lo dirà il tempo, ma sembra che si possa
essere di fronte all'inizio di una nuova era continentale.