Ancora una
volta in Toscana si registra il flop delle fusioni dei comuni. I
cittadini di diverse realtà, nello scorso fine settimana, hanno
detto di no all'accorpamento di almeno due amministrazioni che, oggi,
sono indipendenti. Di fatto su quattro referendum, solo in uno ha
prevalso il sì. Questo dopo che, per un periodo, grazie anche agli
inventivi messi a disposizione, su cui non gravava il famigerato
patto di stabilità, la nostra regione sembrava essere terra di una
vera e propria spinta “fusionista”.
La Toscana,
grazie alla riforma lorenese, è una delle regioni con il minor
numero di comuni. Di fatto in tutta la regione questo è più o meno
pari a quello della sola provincia di Torino (il dritto).
Se in alcuni
casi la fusione funziona, in altri più che il campanile, l'identità
sembra dominare e questa si sposa anche con comuni che, comunque,
riescono a sopravvivere da soli garantendo servizi ai propri
cittadini (il rovescio).
Spesso è
infatti difficile capire se la fusione sia davvero un valore aggiunto
per un territorio. Spesso si tratta di veri e propri accorpamenti di
un comune più piccolo in uno più grande e questo può anche
rappresentare un vantaggio. In certi casi a fondersi sono realtà
simili. Il problema dei cittadini è che in un'Italia che perde
sempre più servizi, non essere più sede di un comune fa temere che
questi diminuiscano ulteriormente, Tanto più con delle leggi che
prevedono, ad esempio, che i servizi pubblici essenziali, tipo le
poste, debbano obbligatoriamente esserci sul territorio di un singolo
comune. E' chiaro che realtà molto piccole sanno che perdendo il
loro status vedrebbero venir meno questa garanzia. Va anche detto che
in Toscana c'è stata per un periodo una sorta di “moda” delle
fusioni che è andata ad affiancarsi alla possibilità di procedere
con le cosiddette unioni che, specie in Maremma, hanno avuto maggior
successo insieme alla creazione di servizi associati. La provincia di
Grosseto, nonostante il dibattito che da anni è in corso sul Monte
Amiata, è stata fino ad oggi libera da spinte “fusionistiche”.
Via via se ne è parlato anche sulla costa, ma al momento nessun
passo è stato compiuto. La domanda, di fronte alle fusioni, però,
resta sempre la stessa. Quanto è utile e quanto realmente lo stato
risparmia? Probabilmente poco, così come poco si è risparmiato con
la riforma più sbagliata che si è registrata negli ultimi anni in
Italia, quella delle province che, di fatto, ha svuotato le casse di
queste amministrazioni che, teoricamente, hanno ancora molte
competenze. Un ente che andrebbe ripristinato nella sua autonomia,
magari valutando degli accorpamenti su realtà più piccole, ma che
sul nostro territorio è determinante. Insomma l'ente locale deve
essere percepito di nuovo come un valore aggiunto e non come un
fastidio. Negli ultimi anni, invece, a livello centrale è sembrato
esserlo di più nella sua seconda forma. E allora ben vengano le
fusioni laddove sono necessarie, ma ben venga anche la scelta dei
cittadini di tenersi stretta la propria “indipendenza”.
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