mercoledì 12 giugno 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (12 giugno 2019)


L'Europa minaccia nuovamente l'Italia di aprire una procedura d'infrazione e riapre il dibattito sul debito pubblico, sul pil e su quello che è l'ormai famigerato rapporto tra i due. Soprattutto le domande sono: c'è realmente una connessione tra debito pubblico e pil con la possibilità di aumentare il primo per far migliorare il secondo e, dunque, abbassarne il rapporto? In teoria tutto è possibile, ma anche no. Chi vuole meno debito sostiene che si tratta di una falsità, altri invece considerano che il debito è necessario per far crescere il prodotto interno lordo. Di sicuro ci sono esempi virtuosi: Spagna, Portogallo, ma anche la Francia, negli ultimi anni hanno visto crescere molto il loro debito pubblico, facendo crescere il pil e stando nei parametri. L'Italia tra il 1999 ed il 2005 ha visto elevare il debito pubblico, ma con un pil decisamente buono riusciva a far decrescere costantemente il rapporto tra i due. La Grecia, invece, ridotta quasi alla fame è uscita dallo stato di crisi, ma molti sostengono che si sia notevolmente indebolita. Qui veniamo però all'Italia. Di certo c'è da capire quanto sia realmente rischiosa la situazione. La sensazione è che, per il momento, le preoccupazioni siano siano più mediatiche che reali. Intanto perché il debito pubblico italiano per una cifra prossima all'80 per cento è ancora in mano ai nostri connazionali. Inoltre il debito privato è decisamente basso rispetto a quello degli altri paesi. Sono elevati i depositi dei cittadini su conto corrente. A questo si può anche aggiungere che gira molto denaro contante, più che in altri paesi, sintomo che, magari il sommerso è ancora molto e questo non compare nei dati ufficiali.
Detto questo è chiaro che se l'Italia riuscisse ad abbassare, seppur gradualmente, la sua elevata mole di debito pubblico non sarebbe male. Dall'altro lato è sempre vero che se gli altri paesi europei continueranno a crearne al loro interno come nell'ultimo decennio ben presto raggiungeranno i livelli italiani (non è un caso che Spagna e Francia siano i più propensi al dialogo con Roma e non alla linea dura).
Alla fine, però, resta la questione di rendere il debito pubblico “produttivo”, cioè trasformarlo in investimenti che facciano crescere il pil e che mantengano sotto certe soglie il famigerato rapporto deficit/ pil.
E' indubbio che l'Italia dovrà fare delle riforme, che siano anche strutturali, passando ad uno snellimento della burocrazia, ma anche con tagli a quelli che sono gli enti veramente inutili, soprattutto su quelli partecipati. Riforme che non potranno essere pagate sempre e solo dai cittadini di tasca loro. E' altrettanto vero che la politica europea del rigore sul modello dei paesi del Nord ha fallito e continuerà a fallire. In più sul piano politico europeo, la fronda anti Ue, è cresciuta. Molti paesi hanno visto aumentare la soglia delle forze sovraniste inviate a Strasburgo, l'Inghilterra ha votato la Brexit ed alle ultime elezioni continentali ha visto il partito per l'uscita giungere al primo posto. In Italia e Francia lo sono le stesse forze sovraniste, così come in Ungheria e Polonia. Insomma l'Unione Europea più che minacciare sanzioni che poi finiranno nella solita bolla di sapone con una piccola concessione da una parte ed una dall'altra, dovrebbe pensare se il modello creato è sempre attuale e se rispecchi la realtà dell'Unione stessa. La risposta è che probabilmente non è così. L'Ue deve essere una risorsa e non un freno, non può fare figli e figliastri, né può consentire politiche protezionistiche ad un paese e non ad un altro. Così come non può strangolare i suoi cittadini per agevolare poi gli investitori di uno o più stati membri. Non può neppure permettere una politica sleale interna sul mercato del lavoro. Insomma molto deve cambiare e lo deve fare all'insegna della solidarietà su cui poggiavano i piedi i padri costituenti. Per farlo serve che la politica riprenda in mano ciò che oggi ha lasciato alla finanza: la guida dell'UE.

giovedì 25 aprile 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (25 aprile 2019)

In questi giorni ho letto posizioni sul 25 aprile troppo ideologiche e svincolate dal contesto storico. 

La Liberazione non ha e non deve avere colori politici come non l'ha avuta la nostra Costituzione nata dall'accordo di forze politiche anche lontane, ma idealmente vicine sull'obiettivo di dare all'Italia: la democrazia (il dritto)

Tanti dimenticano che prima la democrazia vera non c'era e non c'era stata. Se il Ventennio fu caratterizzato dal totalitarismo, in precedenza si era di fronte ad una pseudo democrazia in cui le donne non potevano votare, e tutti gli uomini lo potevano fare da poco, fra l'altro con un senato di nomina regia e non eletto dal popolo (il rovescio).

 La storia insegna anche -e qui forse troppe volte lo dimentichiamo- che l' Italia (ma anche l'Europa) non sarebbe stata liberata se non fossero intervenuti gli Alleati. Fu grazie al sacrificio di queste persone costrette a combattere una guerra che non era la loro, lasciandoci anche la vita, che il nostro Paese fu liberato dalle forze dell'Asse. La storia insegna anche che quegli strascichi che ci portiamo dietro nascono da quei mesi che vanno dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. In quel caso l'Italia ha vissuto una guerra civile, sporca, violenta e cruenta. Una guerra tra italiani (tra sconfitti dalla Seconda Guerra e non tra vinti e vincitori, non ce lo dimentichiamo- perché l'Italia repubblicana pagò il prezzo salato di quel conflitto), che divise persone della stessa nazionalità, ma anche famiglie. Guerra civile che portò ad azioni e repressioni gravi, che nulla hanno a che vedere con quello Stato di Diritto che nasce dal 25 aprile e dalla successiva Costituzione. Dunque che senso ha trattare questa data in termini divisivi -anche io avrei usato la parola derby perché efficace- e cerchiamo di recuperarne il vero significato. Perché la vera vittoria del 25 aprile è stata che in Italia si può esaltare e criticare il 25 aprile. Senza la Liberazione raggiunta grazie agli Alleati (americani, inglesi, canadesi, neozelandesi, australiani ecc. dunque non comunisti) e con il supporto locale dei Resistenti del Cln (composto dai rappresentanti del Partito Comunista Italiano, della Democrazia Cristiana, del Partito d'Azione , del Partito Liberale Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e del Partito Democratico del Lavoro, dunque solo in parte comunisti, ma molti che non lo erano) oggi non avremmo quella democrazia italiana che, prima debole ed oggi strutturata, le ha permesso non solo di garantire una rotazione al Governo di tutti i partiti dell'arco costituzionale, ma anche di autoconservarsi e di farlo anche per il futuro. Per questo dico: la Liberazione non ha e non deve avere etichette, ma deve essere una festa della democrazia e, dunque, del popolo italiano. Così come lo dovrebbe essere il 4 novembre per celebrare Vittorio Veneto e la definitiva unità d'Italia (grave errore averla cancellata dalle date in rosso). Arriveremo mai a festività e celebrazioni finalmente condivise? Ai posteri l'ardua sentenza (e cito volutamente Manzoni perché lui ad un paese unito ha creduto per davvero!!!)

domenica 14 aprile 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (14 aprile 2019)


L'importanza del contatto con la gente. In questi giorni in cui stanno partendo le varie campagne elettorali, quelle delle Europee e di tanti comuni, appare fondamentale che i candidati siano vicini alle persone.

Dopo anni di visibilità mediatica, oggi, l'elettore torna a voler conoscere le persone (il dritto).

Le ultime tornate hanno dimostrato come chi resta chiuso negli uffici o nei palazzi, anche se governa bene (è il caso di molti sindaci uscenti sconfitti a sorpresa), non viene premiato (il rovescio).

La gente, da un lato aggiungerei per fortuna, vuole di nuovo conoscere il candidato, a capire chi sia, che cosa proponga. Il voto di appartenenza sta infatti perdendo quota in favore di quello diretto alle persona o, in realtà magari più grandi, di quello d'opinione. In pratica si predilige la stretta di mano e il contatto diretto o andare dietro a quella che è la sensazione della gente rispetto alle varie proposte politiche. Un altro tema importante è che oggi diventa fondamentale interecettare i voti dei cittadini, soprattutto di quelli delusi dalla politica. Per farlo bisogna instaurare un rapporto quasi faccia a faccia. Ecco allora che torna fondamentale il vecchio, ma mai abbandonato, porta a porta.
L'errore degli ultimi tempi è stato quello di avere a che fare con una politica che si è chiusa sempre più nelle stanze e non ha saputo cogliere le istanze dei cittadini. Che si è limitata a parlare di questioni finanziarie spesso incomprensibili, trascurando le vere difficoltà della gente. Da qui si è registrato uno spostamento di voti, ormai post ideologico, verso quelle forze che sicuramente hanno saputo intercettare maggiormente i bisogni degli italiani.
Da qui provo a fare un esempio utilizzando come modelli i due politici che, forse, negli ultimi anni hanno creato fenomeni diversi: Renzi e Salvini.
Il primo ha avuto un consenso sull'onda di un entusiasmo, e di una sorta di populismo di centrosinistra, dovuto al suo ruolo di Sindaco di Fireze, dunque di istituzione più vicina ai cittadini e più portata all'ascolto. Un appeal che è terminato bruciando troppo presto le tappe, ma anche distaccandosi, ad un tratto, dalla gente, apparendo più lontano dal popolo.
Diverso è stato il percorso di Salvini che, anche nell'attuale ruolo di Vice Premier e di Ministro dell'Interno, continua a marciare a suon di selfie e di bagni di folla.
Una strategia iniziale non diversa, quella di Renzi e di Salvini, fino al raggiungimento del ruolo di governo, ma che si è trasformata completamente subito dopo, con l'uno che ha scelto quel profilo istituzionale che oggi, probabilmente, non paga in termini di voti, l'altro che ha proseguito nella più redditizia linea dello stare vicino all'elettorato indipendentemente dall'incarico ricoperto.
Chiaramente molto dovrà essere visto alla lunga, perché oltre allo stare tra la gente serviranno i risultati, quelle risposte cioè che, forse sono mancate a Renzi e che Salvini sta attendendo alle prossime Europee. Soprattutto in un paese come l'Italia che da 25 anni attende, tra tanti sacrifici, quella svolta che fino ad oggi non è mai arrivata.
Da qui l'indicazione per molti candidati sindaci che dovranno cercare di fare le loro campagne incontrando i cittadini, ma soprattutto ascoltandoli, senza promettere la luna, ma cose semplici e realizzabili. Non è infatti più tempo di slogan e sogni irrealizzabili. Ma di umilità, passione, trasparenza (vera) e buona amministrazione.

venerdì 15 marzo 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (15 marzo 2019)


Via della Seta, atlantismo, sguardo rivolto verso la Russia. In un momento in cui molti parlano di un'Italia che si isola dal contesto internazionale dietro quella parola (a mio giudizio poco appropriata) che, ormai, va tanto di moda, cioè “sovranismo” (e che a me piace definire "diverso europeismo"), in realtà si scopre un Paese che, forse, tende a ricollocarsi sullo scenario internazionale guadagnandosi, nei nuovi equilibri, quel centralismo nel Mediterraneo che tanto è stato importante nel corso dei secoli. Un centralismo che, per centinaia di anni, ha portato gli altri ad occupare la Penisola.
La vicenda della nuova Via della Seta riapre questo dibattito in un momento in cui l'Unione Europea segna il passo con una crisi che, forse, potrebbe non risolversi neppure con le prossime elezioni, visto che, essendosi ormai caratterizzata, attraverso una trazione germanica, seguita dalla Francia, e indebolita dalla vicenda Brexit e dalla voce che stanno alzando i paesi del blocco di Visegrad, ha perso quella rotta che sta fortemente penalizzando il Mediterraneo. L'Italia ha dunque necessità di ritrovare una sua collocazione, di puntare su nuovi mercati, di guardare ad un'Europa che torni ad essere quella sognata Altiero Spinelli e dal Manifesto di Ventotene e non quella solo monetaria e finanziaria in cui si è trasformata. Il nostro Paese ha anche la necessità di trovare nuovi mercati, visto che l'export diventa fondamentale per i nostri prodotti. Per questo l'embargo imposto alla Russia e seguito dall'Europa ha danneggiato i nostri imprenditori che, oggi, vedono in quello cinese una nuova opportunità. Ed i cinesi, dal canto loro, in una logica di espansione verso occidente ed all'Africa non possono non considerare l'Italia, di nuovo, come quel ponte di collegamento sul Mediterraneo che offre una grande opportunità, cioè il porto di Trieste, un'infrastruttura da sempre ambita a livello mitteleuropeo e grande porta, insieme a Venezia, verso l'oriente. In tutto questo non vanno sottovalutati gli Stati Uniti ed il Canada che restano partner fondamentali, accanto all'Europa. Insomma se ragioniamo in termini di geopolitica l'Italia sta tornando ad essere molto più ambita di quello che molti percepiscono e le occasioni vanno sapute cogliere, così come quel ruolo di libertà che, sotto molti aspetti, anche in tempi di Guerra Fredda sapevamo tenere e che ci avevano portato ad avere ottimi rapporti, pur restando nella Nato, sia con i paesi dell'Est che con quelli arabi.

sabato 2 marzo 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (2 marzo 2019)

Mentre il dibattito nazionale è già incentrato sulle prossime elezioni Europee, in Maremma i vari partiti e coalizioni sono già al lavoro per le elezioni amministrative che coinvolgeranno ben sedici dei 28 comuni.

Ci sono sindaci che contano di centrare la rielezione, forti di cinque anni di governo del territorio (il dritto).
Ci sono aspiranti sindaco che sognano il grande colpo e, magari, di rompere una continuità amministrativa che, in alcuni casi, dura dall'immediato Dopoguerra (il rovescio).

Quello che sarà interessante, in questa tornata elettorale, è che sarà la prima che si svolge, in maniera massiccia, dopo una mutazione che, anche nella politica locale, è avvenuta in tempi rapidissimi. Fino a cinque anni fa la rendita di posizione garantita dai vari partiti ancora si avvertiva, così come quella di aver amministrato nei cinque anni precedenti. Della serie che se un sindaco aveva fatto la propria parte e, magari, apparteneva al partito abituato a vincere sul territorio, ripresentandosi davanti al corpo elettorale, doveva solamente preoccuparsi di calcolare con quale percentuale in più, rispetto alla volta precedente, sarebbe stato rieletto. Oggi non è più così. Essere un sindaco uscente rappresenta sempre un vantaggio, ma di certo nessuno può dormire sugli allori. Intanto perché è cambiato lo scenario politico e, se cinque anni fa, durante l'election day il vento in poppa lo aveva il Pd di Renzi che superò il 40 per cento, influenzando anche le elezioni locali, oggi tutti i sondaggi lo indicano in favore della Lega di Salvini che si è ormai consacrata leader della coalizione di centrodestra, quando, solo un lustro fa, il partito stava vivendo il suo momento più difficile dagli anni '90. Quanto, questo possa influenzare lo diranno le urne. Di certo in quei comuni dove compare il simbolo del Carroccio potrà essere un vantaggio, negli altri dovranno essere bravi i candidati che si riuniranno in liste civiche (nei comuni sotto i 15mila abitanti) a sfruttarne il momento favorevole. Dall'altro lato, invece, sembra che la corsa nel centrosinistra sia quella a nascondere il simbolo di un Pd che, in attesa delle Primarie, sta vivendo il momento peggiore dalla sua fondazione.
 La persona, dunque, potrebbe rivelarsi oggi ben più importante dei partiti e, magari, l'aver fatto poco politica in precedenza può essere, agli occhi della gente un vantaggio, in quanto il candidato può essere visto come lontano dall'establishment di potere cui, magari, a torto o a ragione, dà la colpa del suo attuale malessere.

La domanda, però, è una: che cosa chiedono gli elettori ad un amministratore? Questo è ciò su cui i candidati dovranno essere più bravi a lavorare. 

Dopo anni in cui il potere politico, anche locale, appariva troppo distante dalla gente, oggi diventa necessario ascoltare il cittadino. Un'affermazione che potrebbe sembrare lapalissiana, ma non è così. L'ascoltare, infatti, deve trasformarsi in due azioni concrete. la prima è la presenza costante sul territorio. In pratica chi si reca in Comune vuole trovare (in senso fisico) il Sindaco. Questo perché i primi cittadini sono ormai diventati i veri punti di riferimento e, spesso, si trovano di fronte a richieste che, per ruolo, non hanno competenza a soddisfare. Però è anche vero che sono l'unico tramite che la gente ha con le istituzioni maggiori, Regione e Governo in primis, ma anche con la Asl. Dall'altro, accanto all'ascolto ed alla presenza, occorre l'azione. Le promesse, infatti non servono più. Molto meglio agire, fare cose piccole, concrete ed immediatamente percepibili, che far sognare alla gente le grandi opere, ma poi irrealizzabili. Solo pochi anni fa in politica vinceva chi era in grado di presentare progetti belli e irrealizzabili, la fantasia prevaleva sulla concretezza. Quanti di questi sono andati realmente in porto? Pochissimi ed anche quando lo hanno fatto si sono rivelati dei flop clamorosi. Basta guardarsi intorno, in tutta la Maremma, e ne possiamo individuare a decine. Il cittadino, invece, non è più disposto a credere alle favole. Si è annoiato. Preferisce la buca riparata davanti a casa che la promessa di avere una via interamente rifatta. Non perché non si illuda, ma perché è ormai consapevole che, come per la vita di tutti i giorni, le casse dell'amministrazione non godono più delle risorse di un tempo. Il cittadino chiede poi impegno per mantenere quei servizi che stanno, piano piano, sparendo dalle varie realtà, soprattutto da quelle periferiche. Poi vorrebbe vedere strategie di sviluppo concrete. Le frasi fatte servono a poco se poi le attività chiudono e con loro i vari comuni rischiano di continuare a spopolarsi o la gente vi perde al loro interno le opportunità (un punto, questo da non sottovalutare, quando siamo di fronte ad una nuova emigrazione giovanile). Insomma anche nella pianificazione i futuri sindaci dovranno riuscire a promettere ciò che, poi, sono in grado di realizzare. Attenzione bene: oggi la gente vuole vedere il lavoro finito, perché finché non lo toccherà con mano le illusioni del passato sul promesso, finanziato, ma ancora non fatto non lo convinceranno.
L'altro aspetto importante sarà quello della sicurezza, entrato di prepotenza da qualche anno, anche nel dibattito locale. E questa volta lo sarà ancor di più perché il Decreto Sicurezza innalza il potere dei sindaci che, oggi, hanno un raggio di azione maggiore rispetto al passato e permette alle amministrazioni di investire su questo settore. Accanto a questo c'è la questione immigrazione. Laddove c'è anche integrazione il fenomeno si riesce a gestire, ma dove questa non c'è - ed oggi avviene anche in realtà piccole- il malcontento della gente si manifesta sempre di più.
Da tutto questo, dunque, si può semplificare ciò che sta influenzando le decisioni dei votanti (che sono sempre meno, dunque sarà importante capire se ci sarà un'inversione di tendenza). Molto meglio realizzare tante piccole cose, in ogni settore, tangibili, ma costanti nel tempo, che poche grandi opere. Meglio realizzare l'ordinario pianificando, magari, uno o due lavori straordinari che si è in grado di mantenere in cinque anni e che diventeranno il realizzato di fine mandato. E per far ciò occorre capire cosa, realmente, interessa al cittadino, ma soprattutto serve al territorio. Avendo la chiarezza di comunicarlo sin da subito.

lunedì 18 febbraio 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (18 febbraio 2019)


Negli ultimi mesi questa piccola rubrica ha dedicato spesso la propria attenzione alle prossime elezioni Europee. Non lo abbiamo fatto solo per la passione di chi scrive verso le questioni continentali, ma per dare una chiave di lettura anche interna a quelle che sono le posizioni in gioco. Oggi molte previsioni vengono confermate dai primi sondaggi dell'Europarlamento.

Il fronte formato da Ppe e Pse, per la prima volta dal 1979 – anno in cui si votò d'esordio del suffragio universale- dovrebbe perdere la maggioranza assoluta dei seggi (il dritto).

Per una maggioranza europeista servirà il contributo dei Liberali, con le forze cosiddette “sovraniste” che vengono date in grande crescita e la Lega che contende alla Cdu della Merkel il ruolo di partito maggiormente rappresentato (il rovescio).

Obiettivamente chi analizza le vicende europee aveva già intuito da settimane che questa era la strada intrapresa e non poteva essere letta in maniera diversa l'azione del presidente francesce Macron (il cui partito En Marche potrebbe essere superato internamente dal Fronte Nationale) contro l'Italia, con lo schieramento delle forze “tradizional europeiste” (usiamo questo termine) con lui e contro il fronte “diversamente europeista” (per non definirlo “sovranista”).
Obiettivamente che questa Europa non piaccia più ai cittadini è evidente. E lo è talmente tanto che lo stesso Matteo Renzi quando iniziò la sua scalata al Pd puntava il dito contro i colleghi di partito troppo “leggeri” con Bruxelles. Una volta giunto alla guida dei democratici ed al Governo, però, Renzi non seppe fare diversamente. Cosa che invece, al momento, sta facendo l'alleanza “gialloverde”. Che lo faccia bene o male è un altro conto, però ha aperto diversi fronti che, in Europa, stanno facendo breccia dimostrando anche come molti paesi stiano “predicando bene e razzolando male” (per usare un termine popolare). Più volte l'esecutivo italiano è andato vicino alla rottura, arrivando poi ad un accordo con Bruxelles, che sapeva molto di temporeggiamento da entrambe le parti,in attesa del voto di maggio.
E' chiaro che il Parlamento Europeo che uscirà dalle urne sarà sicuramente più promiscuo dei precedenti e, forse, grazie a questo andrà ad assumere un ruolo più importante, anche nell'immagine collettiva, di quella avuta fino ad oggi. E' altrettanto evidente che la stessa Commissione – fino ad oggi dura con l'Italia- avrà una matrice “diversamente europeista” più forte di quella “tradizional europeista” che ha avuto fino ad oggi. Molti paesi a trazione sovranista, infatti, andranno ad indicare i propri commissari e questi non saranno certamente rigidi nei confronti dei propri Governi. Della serie: un conto per l'Italia è avere la Mogherini, un conto un uomo di fiducia dell'attuale Governo. Di certo molti esponenti della stessa Commissione sarebbero molto più prudenti nelle loro esternazioni contro l'Italia rispetto ad oggi, quando chi dovrebbe rappresentare il proprio Paese, di fatto, è apparsa quasi estranea a questa vicenda. Se poi ci sommiamo altri commissari nominati da Governi che mettono la propria nazionale al centro, allora si capisce che chi dovrà presiedere questo organo dovrà essere un ottimo equilibrista. In tutto ciò, è inutile negarlo, l'Italia fa paura a chi, in Europa, non vuol cambiare. La fa perché ha un peso rilevante e questo potrebbe incidere nelle prossime votazioni ponderate. All'Italia basta allearsi con pochi altri paesi – magari del patto di Visegrad- per bloccare le decisioni. E' bastata l'astensione italiana sul Venezuela che il documento europeo, di fatto, è saltato. Basta che l'Italia dica di no al bilancio e questo si blocca. Insomma al momento la partita di scacchi continua, ma dopo il 26 maggio che cosa accadrà? La sensazione è che l'Europa cambierà. In meglio o in peggio lo dirà il tempo, ma sembra che si possa essere di fronte all'inizio di una nuova era continentale.

martedì 5 febbraio 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (5 febbraio 2019)

La crisi venezuelana ripropone forte il tema del Sud America e di democrazie che, per molti aspetti, sono ben distanti da quelle europee. Su questo fronte l'Italia ha un atteggiamento di neutralità che deve far riflettere, ma che, forse, non è neppure così sbagliato.

Che la presidenza Maduro sia una democrazia in cui si vota, ma vince sempre il solito, dunque crea un presidenzialismo talmente forte che si avvicina ad una dittatura è evidente (il dritto)
Che la presidenza di Guaidò nasca da un'autoproclamazione e, dunque, da una forzatura che si avvicina ad un golpe lo è altrettanto (il rovescio).

In tutto questo c'è stata una rincorsa internazionale a schierarsi. Il mondo occidentale, di destra quanto di sinistra, ha immediatamente sposato la linea di Guaidò, che è presidente del Parlamento, con un asse che va da Trump, a poco meno di venti paesi dell'Ue (tra cui il governo socialista spagnolo), ad altri che si sono accodati. Altre potenze, come Cina e Russia, invece, sostengono il Governo di Maduro.
 In tutto questo che cosa fa l'Italia? Non si schiera. O meglio fa una richiesta diversa e blocca una soluzione unitaria della Ue portandosi dietro il blocco di Visegrad. 
Se è pur vero che la posizione italiana nasce da una differenza di vedute nel Governo con il M5S che sarebbe schierato con Maduro e la Lega con Guaidò (ma forse a Salvini, nonostante le parole, va anche bene questa posizione che di fatto lo tiene equidistante da due alleati internazionali come Trump e Putin che giocano l'uno su un fronte opposto rispetto all'altro). Un posizione che, dunque porta ad una richiesta ben precisa: nuove e libere elezioni, senza passare per riconoscimenti formali e libere elezioni.
In questo l'Italia è meno isolata di quello che si possa pensare, visto che la posizione è la stessa dell'Onu e del Vaticano. L'Onu lo fa riconoscendo Maduro come presidente eletto, ma chiedendo di tornare alle urne per evitare che la situazione si complichi. Il Vaticano, tramite Papa Francesco, lo fa comunque per evitare ulteriore spargimento di sangue. 
L'Italia, dunque, si trova in una posizione di neutralità che in un paese spaccato come il Venezuela potrebbe anche rivelarsi opportuna, soprattutto a tutela dei circa 200mila italiani residenti nel paese (che è tuttora uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio), che superano il milione se si considerano anche quelli che hanno origini nella Penisola. Una comunità che è tra le principali dell nazione sudamericana.
Insomma una scelta obbligata, forse anche attendista, con una richiesta ben precisa, quella cioè di libere elezioni, con la luce dei riflettori puntate sui seggi e gli ispettori internazionali, che le rendono qualcosa di simile a quelle che avvengono nei paesi a più lunga tradizione democratica. Il Venezuela, purtroppo, problemi di questo tipo ne ha avuti. Basti pensare che lo stesso Chavéz, tenente colonnello dell'Esercito, negli anni '90 cercò di salire al potere con un fallito golpe, fu poi eletto democraticamente nel 1998 e nel 2002 destituito temporaneamente da un golpe, con militari che, però lo liberarono e lo rimisero al potere dove rimase fino alla morte. Insomma come tutte le democrazie sudamericane il Venezuela è costretto a fare i conti con situazioni che possono degenerare e, dunque, anziché schierarsi con l'uno o con l'altro, forse, è meglio davvero chiedere libere elezioni e che decida il popolo accentandone il risultato.