mercoledì 12 giugno 2019

IL DRITTO E IL ROVESCIO (12 giugno 2019)


L'Europa minaccia nuovamente l'Italia di aprire una procedura d'infrazione e riapre il dibattito sul debito pubblico, sul pil e su quello che è l'ormai famigerato rapporto tra i due. Soprattutto le domande sono: c'è realmente una connessione tra debito pubblico e pil con la possibilità di aumentare il primo per far migliorare il secondo e, dunque, abbassarne il rapporto? In teoria tutto è possibile, ma anche no. Chi vuole meno debito sostiene che si tratta di una falsità, altri invece considerano che il debito è necessario per far crescere il prodotto interno lordo. Di sicuro ci sono esempi virtuosi: Spagna, Portogallo, ma anche la Francia, negli ultimi anni hanno visto crescere molto il loro debito pubblico, facendo crescere il pil e stando nei parametri. L'Italia tra il 1999 ed il 2005 ha visto elevare il debito pubblico, ma con un pil decisamente buono riusciva a far decrescere costantemente il rapporto tra i due. La Grecia, invece, ridotta quasi alla fame è uscita dallo stato di crisi, ma molti sostengono che si sia notevolmente indebolita. Qui veniamo però all'Italia. Di certo c'è da capire quanto sia realmente rischiosa la situazione. La sensazione è che, per il momento, le preoccupazioni siano siano più mediatiche che reali. Intanto perché il debito pubblico italiano per una cifra prossima all'80 per cento è ancora in mano ai nostri connazionali. Inoltre il debito privato è decisamente basso rispetto a quello degli altri paesi. Sono elevati i depositi dei cittadini su conto corrente. A questo si può anche aggiungere che gira molto denaro contante, più che in altri paesi, sintomo che, magari il sommerso è ancora molto e questo non compare nei dati ufficiali.
Detto questo è chiaro che se l'Italia riuscisse ad abbassare, seppur gradualmente, la sua elevata mole di debito pubblico non sarebbe male. Dall'altro lato è sempre vero che se gli altri paesi europei continueranno a crearne al loro interno come nell'ultimo decennio ben presto raggiungeranno i livelli italiani (non è un caso che Spagna e Francia siano i più propensi al dialogo con Roma e non alla linea dura).
Alla fine, però, resta la questione di rendere il debito pubblico “produttivo”, cioè trasformarlo in investimenti che facciano crescere il pil e che mantengano sotto certe soglie il famigerato rapporto deficit/ pil.
E' indubbio che l'Italia dovrà fare delle riforme, che siano anche strutturali, passando ad uno snellimento della burocrazia, ma anche con tagli a quelli che sono gli enti veramente inutili, soprattutto su quelli partecipati. Riforme che non potranno essere pagate sempre e solo dai cittadini di tasca loro. E' altrettanto vero che la politica europea del rigore sul modello dei paesi del Nord ha fallito e continuerà a fallire. In più sul piano politico europeo, la fronda anti Ue, è cresciuta. Molti paesi hanno visto aumentare la soglia delle forze sovraniste inviate a Strasburgo, l'Inghilterra ha votato la Brexit ed alle ultime elezioni continentali ha visto il partito per l'uscita giungere al primo posto. In Italia e Francia lo sono le stesse forze sovraniste, così come in Ungheria e Polonia. Insomma l'Unione Europea più che minacciare sanzioni che poi finiranno nella solita bolla di sapone con una piccola concessione da una parte ed una dall'altra, dovrebbe pensare se il modello creato è sempre attuale e se rispecchi la realtà dell'Unione stessa. La risposta è che probabilmente non è così. L'Ue deve essere una risorsa e non un freno, non può fare figli e figliastri, né può consentire politiche protezionistiche ad un paese e non ad un altro. Così come non può strangolare i suoi cittadini per agevolare poi gli investitori di uno o più stati membri. Non può neppure permettere una politica sleale interna sul mercato del lavoro. Insomma molto deve cambiare e lo deve fare all'insegna della solidarietà su cui poggiavano i piedi i padri costituenti. Per farlo serve che la politica riprenda in mano ciò che oggi ha lasciato alla finanza: la guida dell'UE.