martedì 22 agosto 2017

La leggerezza di Eduardo Galeano nello scrivere di calcio

Inutile girarci attorno: ogni appassionato di calcio e di lettura dovrebbe avere nella sua libreria “Splendore e miserie del gioco del calcio” di Eduardo Galeano (edizione Sperling & Kupfer). Galeano è stato un maestro di questo genere letterario. Racconta il calcio come pochi sanno fare. Con semplicità, con ironia, con spirito critico, ma anche con quella cultura e quella passione che, spesso, solo i sudamericani riescono a trasmettere. Ho letto più volte questo libro. La prima negli anni '90, subito dopo essere stato aggiornato con l'edizione 1998 della Coppa del Mondo di calcio. L'ho riletto per l'ultima volta dopo quelli del 2006 con la vittoria dell'Italia. La scomparsa di Galeano, purtroppo, non permetterà nuovi aggiornamenti. Con ogni quadriennio aumentavano infatti anche i protagonisti del calcio più o meno moderno. Si va da coloro che sono stati dei veri e propri pionieri del football agli eroi di oggi. Gli episodi vengono citati con una lettura di Galeano che, anche se critica o non sempre condivisibile, porta con sé sempre un fondo di verità. C'è poi l'analisi del Mondiali, quelli vinti con merito e quelli che portano con sé tanti punti interrogativi. Ma c'è anche la politica, quella che, per esempio, caratterizzò la Coppa del Mondo in Argentina con la Fifa a sostenere la dittatura chiudendo gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani perpetrate nei lager del paese sudamericano. Galeano è un uaruguaiano e gli eroi del suo paese li tiene ben in considerazione, non per questo non fa una lucida analisi sul dramma vissuto dai brasiliani dopo la sconfitta nella Coppa del Mondo del 1950. Prima di lasciarci, nel 2015, ha però potuto vivere un altro momento che, forse, per i brasiliani, è stato anche peggiore di quello di 64 anni prima, cioè l'1-7 subito dalla Germania nel Mondiale 2014 giocato di nuovo in casa.
Galeano è uno uomo di cultura prestato allo sport, lo analizza con un fare da storico, anche se non si è mai definito tale. Accettava i titoli di giornalista, scrittore e saggista. Nella sua vita ha subito la dittatura. Fuggì dall'Uruguay dopo il colpo di stato del 1973 che lo vide anche in carcere. Si riparò in Argentina, ma l'avvento della ditttura di Videla lo costrinse a fare nuovamente le valigie, questa volta con destinazione Spagna. Nel 1985, con il ritorno della democrazia, rientrerà in Uruguay.

Scriverà molti libri, di vario genere. Il calcio è e resta la sua passione e “Splendore e miserie del gioco del calcio”, è una pietra miliare della produzione letteraria dedicata al mondo del pallone.

lunedì 21 agosto 2017

Come nasce "Reti di Smeraldo"

Perché scrivere un romanzo? Una domanda lecita da porre, ma dalla risposta sicuramente difficile. Almeno per me. Fino a pochi anni fa mai avrei pensato di potermi dedicare a questo genere di scrittura. Avevo partecipato ad alcune pubblicazione scritte, come si suol dire, “a più mani”. Sempre però in tema giornalistico e nell'ambito della mia professione. Poi qualcosa è scattato in me. Come dico a tutti: sono e resto un giornalista di professione, mi considero uno scrittore per diletto.
Da qui, però la seconda domanda che, spesso, mi viene posta: cosa è scattato in te?
Sicuramente un senso di sfida che io porto da sempre con me. La voglia di porsi di fronte alla novità e ad un esame che vuoi superare. Questo è stato per me scrivere un romanzo. Dopo anni di servizi televisivi ed articoli di giornale ho deciso di cimentarmi in qualcosa di più corposo. Un conto è far scorrere bene un servizio composto da poche migliaia di caratteri, un altro è tenere il filo logico in un libro composto da qualche centinaia di migliaia di battute.
Superato questo primo scoglio c'è stata una seconda necessità: quello di scrivere qualcosa che scorresse, ma soprattutto di originale. Così è nata l'idea di “Reti di Smeraldo”, edita da Heimat.
La decisione è stata quella di sviluppare una storia ambientata in due terre tanto diverse quanto simili: la Maremma ed il Connemara, in Irlanda. Si tratta di due zone ricche di fascino, di natura e di tradizioni che conosco bene per averci vissuto. In Maremma dalla nascita, a Galway, la città considerata la porta del Connemara, nei mesi trascorsi in Erasmus al tempo dell'università.
C'è stato poi da scegliere l'elemento che fosse il filo conduttore della storia. Qui ho puntato su un giovane calciatore italiano rimasto disoccupato e che accetta un'offerta giunta dall'Irlanda, un luogo, in quel momento, a lui sconosciuto.
Il romanzo descrive l'avventura calcistica del protagonista, ma è sempre inquadrata nei paesaggi e nella vita delle due terre che sapeva (la Maremma) e scoprirà (Galway e il Connemara) di amare.
A fare da sfondo a tutto questo non poteva mancare un po' di storia d'Irlanda, fatta dai cosiddetti “troubles”, la guerra civile che, per trent'anni, ha colpito l'Isola di Smeraldo, ancora oggi divisa in due tra l'Eire e l'Irlanda del Nord.
Ne è uscito un romanzo che, alla fine, rispettava tutti i miei obiettivi e mi ha permesso di superare l'esame che andavo cercando.
Ci proverò ancora? Qui giungiamo alla terza domanda che porta con sé una risposta per me scontata: sì. E' un sì, però, condizionato. Perché scriverò solo se riuscirò a rispettare ancora quelli che sono gli elementi che considero salienti per arrivare ad un buon prodotto editoriale che, si badi bene, non deve essere per forza un best seller, ma anche un semplice libro che permetta a chi legge di trascorrere qualche ora in compagnia di una piacevole lettura.

Reti di Smeraldo si è aggiudicato il "Premio Capalbio-Piazza Magenta 2017" nella sezione "premio per il territorio".