sabato 6 ottobre 2018

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (06 ottobre 2018)

La rubrica di oggi ci porta a ragionare di luoghi per noi remoti che finiscono spesso all'interno della letteratura, come le «favelas». Luoghi che vengono spesso raccontati e visitati, ma che restano anche avvolti da un mistero che incuriosisce con storie che a volte fanno riflettere su molti accadimenti della vita.
Le «favelas» un tempo luoghi malfamati da cui il turista si teneva alla larga oggi, in alcuni casi, specie a Rio de Janeiro sono diventate mete di visite guidate (il dritto).
Nonostante questo restano simbolo di miseria che si allarga a tutto il continente sudamericano (il rovescio).

Personalmente non ho mai visitato il Sud America, anche se da sempre ne sono attratto, sia sotto l'aspetto turistico, sia sotto quello della cultura e della letteratura. Da lì giungono molte storie che mi hanno fatto appassionare ad un mondo tanto vicino, quanto lontano da quello europeo.
 Le «favelas» mi hanno sempre incuriosito, non tanto come luoghi, spesso fatiscenti che richiamano le famose «baracche» delle periferie delle grandi città italiane del secondo Dopoguerra, quanto perché da qui sono partite grandi storie, soprattutto nel mondo dello sport. Così posso spiegare la mia curiosità e cerco di illustrarne il perché.
 Sono stati spesso i calciatori brasiliani a raccontare le loro storie di miseria che, di colpo, grazie alla capacità di calciare un pallone hanno visto cambiarne il corso della vita. Quello che però mi ha sempre sorpreso è il legame che gli stessi hanno, nella maggior parte dei casi, dimostrato di avere con il luogo natio. Non sono così mancate iniziative soprattutto per quei bambini di strada in cui loro si riconoscevano. Quelli che, con un pallone fatto, magari di stracci, avrebbe potuto essere il campione del futuro.
 Nei giorni scorsi, però, leggevo un libro in cui l'autore raccontava la vita in uno di questi quartieri che può essere visitato e lasciava comunque trasparire, nelle difficoltà e nella povertà, un certo orgoglio da parte dei suoi abitanti. Un orgoglio che parlava di dignità, di persone che con l'equivalente di pochi euro mandano avanti una famiglia, ma anche in cui ci sono valori ancora forti, come la solidarietà che permettono a queste persone di andare avanti. Valori che i paesi più ricchi stanno sempre più perdendo.
 Inutile dire che questi racconti non facciano certo invidiare chi vive in questi luoghi, ma sembrano riportare ad un mondo che in Italia abbiamo conosciuto e che oggi, dopo essere quasi sparito, purtroppo ritorna.  
 Insomma la mente va dunque ad una Penisola del passato con le baraccopoli nelle periferie delle grandi città, spesso abitate dagli immigrati che, all'epoca, si spostavano dal Meridione al Nord Italia, ma anche delle realtà più piccole. Grosseto aveva le sue baracche nella zona di via Clodia e le ha avute fino agli anni '90. Luoghi in cui la gente si era abituata ed ha continuato a vivere per tanti anni. La stessa Shangai a Marina di Grosseto rappresentava un luogo simile, molto lontano da quello delle villette e delle case di vacanza che possiamo vedere oggi. Un'immagine che è ancora nitida nei ricordi di tanti grossetani che lì avevano la propria - all'epoca- modesta residenza estiva che andava ad affiancarsi a chi, invece, ci viveva tutto l'anno.
 Da qui la riflessione su una società che sta cambiando e che sta sempre più perdendo molti valori che sono alla base di una società. Quello spirito di gruppo che per molto tempo ha mandato avanti il nostro Paese nelle difficoltà e che andrebbe ritrovato nel futuro. Uno spirito che spesso ritroviamo nei racconti e nei reportage dalle «favelas» e che tutti noi vorremmo, anche per i loro abitanti, veder ancora esistere, ma all'interno di una società che sia sempre migliore e che li porti a vivere in condizioni decisamente più dignitose. Quella dignità che, però, nonostante la delinquenza che caratterizza questi quartieri, molta gente non vuol perdere. 

giovedì 4 ottobre 2018

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (04 ottobre 2018)


Numeri della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, scontro con la Commissione Europea, nodo delle Olimpiadi invernali da sciogliere. Sono giorni intensi per l'Italia e, soprattutto, per il suo Governo.

Lo scontro a livello internazionale si intensifica sempre di più, con due parti che non sembrano riuscire a dialogare (il dritto).
Le Olimpiadi invernali fanno discutere soprattutto gli alleati di Governo con la scelta de Coni di preferire i luoghi cari alla Lega, cioè Milano-Cortina, rispetto a quelli indicati dal Movimento Cinque Stelle, cioè Torino (il rovescio).

Lo scontro che si sta creando dopo la nota di adeguamento del Def ormai sta passando i confini del galateo istituzionale, tra frasi infelici che vengono dalla Commissione Europea, in particolar modo dal presidente Junker e dal commissario Moscovici, e le risposte piccate e non meno pesanti degli esponenti italiani che, da parte loro, difendono i provvedimenti messi in campo. Tutto questo con l'assenza di colui, o in questo caso colei, che dovrebbe avere un ruolo di mediatore, cioè il commissario per la politica estera Federica Mogherini che, della commissione, è vicepresidente e che è di nomina italiana. E' chiaro che le sue idee sull'Europa, essendo un esponente del Pd, sono diverse da quella del Governo nazionale, ma la sua totale assenza in questo scontro rappresenta un silenzio fin troppo assordante.
E' evidente che le due parti, Commissione e Governo, giocano su fronti opposti e che hanno due concetti diversi dell'economia e della finanza. Lo è altrettanto che l'attuale sistema europeo è in crisi, troppo lontano dai cittadini e, dunque, diventa facilmente attaccabile da chi, evidentemente, quel modello lo vuole incrinare. Se a farlo è l'Ungheria di Orban o il gruppo di Visegrad, poco importa, hanno un peso limitato, ma se inizia a farlo un paese che conta, come l'Italia, lo scenario cambia. Se poi ci aggiungiamo che il fronte che gestisce l'attuale Europa è in crisi anche a casa propria il cerchio si chiude. Macron in Francia è ai minimi storici nella popolarità, la Merkel in Germania deve lavorare molto per tenere unita la propria coalizione, la Spagna ha un governo decisamente debole, l'Austria ha svoltato decisamente verso le posizioni italiane, in Olanda gli euroscettici fanno paura ai moderati, in Svezia pure. In più c'è sempre l'Inghilterra che ha votato la Brexit e che rappresenta una spinta in più èer chi dice di no all'attuale modello europeo.
Insomma è facile fare la voce grossa con la Grecia o con l'Irlanda, è molto più difficile farlo con l'Italia che, comunque, ha un'economia tale che di fronte ad un attacco speculativo manderebbe in crisi anche molte altre economie del Vecchio Continente.
Da qui la curiosità di vedere che cosa accadrà, anche a livello di equilibri, dopo le prossime elezioni Europee e capire anche quale sarà l'eventuale, nuovo, europeismo. Perché questo è un progetto che va rilanciato e da cui non si può comunque tornare indietro.

Passando alle questioni interne è evidente che lo scontro sulle Olimpiadi Invernali investa direttamente la maggioranza. L'asse trasversale Fontana- Sala-Zaia ha retto ed ha premiato, nella scelta, Milano, cuore pulsante dell'economia italiana, e Cortina luogo simbolo delle vacanze invernali e già sede olimpica. A farne le spese è stata Torino che ha già molti impianti pronti.
Chi volesse fare un po' di dietrologia potrebbe anche dire che il presidete del Coni Malagò abbia fatto fatto pagare ai Pentastellati il no alle quasi certe Olimpiadi di Roma. Non credo, però, che sia così. L'idea di Milano era partita in tempi non sospetti. Torino aveva provato ad inserirsi, Cortina lo ha fatto dopo. Se unire quest'ultima con il capoluogo lombardo diventava semplice, essendo realtà molto diverse tra loro, più difficile è inserirvi una terza città di grandi dimensioni che, per di più solo pochi anni fa ha ospitato la rassegna olimpica e che ha comunque strutture importanti. Una candidatura a tre che avrebbe poi portato a disperdere sui territori le strutture e gli atleti.
A questo punto ci sta che, per davvero, per la prima volta il Governo decida di non dare risorse all'evento, ma non è comuque escluso che la potenza economica di Lombardia e Veneto permetta un sostegno tutto locale. E questo potrebbe rappresentare una svolta con effetti benefici in Italia ed all'estero nell'organizzazione di questo tipo di manifestazioni.

martedì 2 ottobre 2018

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (02 ottobre 2018)

Commissione Ue e Governo italiano sono ormai da tempo ai ferri corti. La nota di aggiornamento del Def ha chiaramente allargato le differenze che dividono l'esecutivo di Roma da quello di Bruxelles.
 Appare evidente che lo scontro può essere considerato forte e, forse, senza precedenti se si tolgono i negoziati della Brexit per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione stessa. Quella, però, chiaramente è una scelta ben diversa, rispetto allo sforare i parametri per uno stato fondatore che opera all'interno della Ue.
 Uno scontro che si inasprisce e che lascia emergere, però, quello politico che c'è dietro alla decisione dell'Italia ed alla reazione dell'Europa.
 Da tempo in questa piccola rubrica vado dicendo che le differenti posizioni non si possono limitare a pochi decimali in percentuale, semmai vanno analizzate nelle visioni della futura Europa che, probabilmente, tra qualche mese potrebbero portare ad un cambiamento degli equilibri all'interno del Parlamento Europeo, tra chi si professa sovranista (o per dire meglio che vorrebbe un'Ue diversa) e chi, invece, punta a mantenere il rigore ed una sorta di status quo in nome di un europeismo che, però, è bene dirlo porta con sé tutte le sue difficoltà.
 E' chiaro che l'Europa ha bisogno di cambiamenti, di nuova solidarietà e minor rigore. E' evidente anche che da queste politiche ci hanno guadagnato in pochi e rimesso in tanti, soprattutto i paesi dell'area del Mediterraneo. Probabilmente l'Italia ci ha rimesso di più per colpe sue (con l'ingresso nella moneta unica si è permesso di raddoppiare i prezzi convertendo 1000 lire con un euro senza controlli) ed anche di altri, cioè la pretesa di maggior rigore temendo la potenzialità di un paese che ha e mantiene un'economia solida. Un paese che può compensare un debito pubblico elevato con un debito privato molto basso. Una nazione che, comunque, nonostante la crisi ha saputo reggere il colpo seppur il rigore europeo abbia dato un colpo non indifferente al Pil.
Personalmente non ritengo che si possa dire che in questa fase ha ragione l'uno o l'altro, di certo c'è qualcosa che va cambiato. L'Italia deve sicuramente fare la sua parte per abbassare il debito, ma l'Europa non può continuare a frenare l'economia di un paese per il volere di pochi.
 Mi sembra poi che il paragone fatto dal presidente della Commissione Juncker tra l'Italia e la Grecia sia fuori luogo, oltre che infondato.
Tornare indietro rispetto all'Europa è evidentemente difficile, se non impossibile, ma pensare ad un'Unione migliore non è sbagliato.
 Se il Governo italiano è il primo di un paese fondatore che difende la propria sovranità andando allo scontro con le istituzioni europee (la Francia lo ha fatto più volte, ma nessuno le ha mai contestato nulla) è evidente che l'attuale Commissione è destinata a perdere la propria forza nel futuro con paesi che sono allineati alla posizione italiana e che da questa traggono forza. Basti pensare che al posto della Mogherini, probabilmente, l'Italia sceglierà un commissario che non avrà il suo stesso concetto di Europa e che il prossimo Parlamento vedrà le forze europeiste più deboli rispetto ad oggi, dove l'asse Ppe-Pse ha continuato a dominare la scena. 
Insomma la battaglia sembra essere solamente all'inizio, le forze contrarie all'attuale modello di Europa si stanno rafforzando e le elezioni sono fissate per il 26 maggio. Non sono dunque esclusi nuovi colpi di scena, considerando che la leva dello spread, quella che costò cara all'ultimo Governo Berlusconi, oggi fa meno paura, considerando anche che lo scenario internazionale vede leader tipo Trump e Putin, o potenze come la Cina, che possono trarre vantaggi da un'Europa debole e che potrebbero essere interessati a sostenere un'Italia ribelle. Dopo la fine di maggio, invece, il corso dell'Unione potrebbe cambiare e le varie posizioni potrebbero alleggerirsi. La dimostrazione viene dalla stessa Merkel che ha lanciato la candidatura di Manfred Weber per la presidenza della Commissione Ue. Un esponente del Ppe che è considerato decisamente tiepido rispetto all'attuale europeismo e che rappresenta una mano tesa rispetto agli euroscettici tedeschi.

domenica 30 settembre 2018

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (30 settembre 2018)

In un momento in cui si discute molto sull'Europa, c'è una squadra che sotto le insegne dell'UE ha esaltato e fatto esultare. Si tratta di quella del Vecchio Continente che ha battuto gli Stati Uniti nella Ryder Cup di Golf.

Esiste, dunque un'Europa che si sente veramente unita e che dà un'identità ai suoi cittadini (il dritto).
Un'Europa che si contrappone a quella finanziaria e politica che, troppo spesso, si dimentica della solidarietà tra popoli e li allontana dal progetto comune (il rovescio).

Da appartenente a quelle generazione Erasmus che si è sentita cittadina dell'Unione grazie ai progetti di scambio tra università, ed oggi estesi anche alle scuole superiori, non posso far altro che gioire del successo di una squadra che al suo interno e sotto la bandiera dell'Unione riunisce italiani, inglesi, irlandesi, svedesi, spagnoli ed altri ancora. Questo nonostante che le individualità e l'appartenenza ai singoli, stati così come le identità dei propri componenti, non vengano meno. Da italiani siamo tutti orgogliosi di quanto fatto da Francesco Molinari, recordman della competizione con cinque successi su cinque. Però, alla fine, abbiamo esultato perché l'Europa ha vinto contro gli Stati Uniti. E tra gli americani, che uniti lo sono da oltre 200 anni, qualcuno pensa che non esista l'orgoglio del veder trionfare l'atleta dello stato di appartenenza? Esiste anche lì il campanile, anche perché pure gli States hanno avuto i loro momenti di crisi e sono passati da una Guerra Civile per riuscire a creare quell'identità che, ancora, a noi europei manca. Non è infatti facile riunire 28 stati (presto saranno 27) con lingue e tradizioni diverse. Lo sport, così come la scuola, dimostrano però di saper  anticipare la politica e la finanza. La prima cercando di imporre, attraverso i singoli governi, i vantaggi individuali rispetto a quelli generali. La seconda per ragionare in termine di più forti che tendono ad imporre le loro regole ai più deboli, testimoniato anche dal fatto che non tutti hanno scelto di utilizzare la stessa moneta.
 Il mio sogno invece è che dalle scuole e dal mondo dello sport questi messaggi possano arrivare nelle stanze di Bruxelles e con noi italiani che, per la prima volta, nel 2022 ospiteremo a Roma quella Ryder Cup che, ad oggi, permette a tutti di avere una nazionale europea per cui tifare. Senza mettere da parte il nostro orgoglio tricolore che resta e resterà comunque anche in un futuro comune.  

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (28 settembre 2018)

La Nota di Aggiornamento Documento di Economia e Finanza (il Nadef) è stata finalmente varata e dopo giorni di parole se ne conoscono finalmente i primi dettagli.
C'è chi esulta per il risultato raggiunto scendendo in piazza con le bandiere e senza attendere quelli che saranno i risultati concreti, che si vedranno solo tra qualche tempo (il dritto).
C'è chi, invece, critica a prescindere rimanendo in una posizione di rigidità che, obiettivamente, in questi anni non ha portato ad una ripresa concreta e, forse, limitata solo ai dati contabili (il rovescio).
Come sempre questa rubrica non vuole prendere posizione, ma semplicemente provare a capire con una discussione, mi auguro, ancora una volta costruttiva. Non ho le competenze per entrare nel dettaglio tecnico - la mia formazione si limita ad un esame universitario di Politica Economica- però provo ad analizzare in base a quello che, da più parti, i vari esperti vanno dicendo.
La premessa è che se molti economisti stanno dall'una parte e molti dall'altra evidentemente non esiste una verità assoluta e questo è un principio da cui partire. Mi sembra che il Nadef abbia degli elementi interessanti ed altri su cui occorre ragionare. A partire dal quel 2,4% di rapporto deficit/pil per i prossimi due anni che ha fatto tanto discutere (il Ministro Tria avrebbe voluto l'1,6%). Un dato contabile porta con sé tante cose, però si tratta pur sempre di un rapporto. Dunque se la manovra garantisse davvero benefici all'economia italiana, è evidente che a parità di deficit, crescendo il Pil, il rapporto stesso si abbasserebbe. L'Europa, chiaramente storcerà il naso, però c'è un precedente, almeno recente, quello del Portogallo con un governo socialista e sostenuto dall'estrema sinistra che, andando contro le regole imposte, ha avuto una buona risposta in termini di crescita. Se consideriamo che l'Italia è una delle più importanti economie mondiali è evidente che se si riuscisse a far leva sul Pil si potrebbero aggiustare nuovamente diversi parametri. Anche perché la politica dei tagli non ha portato a grandi risultati, il Pil per anni è andato al ribasso ed il debito è cresciuto. La scelta del Governo produrrà danni o effetti positivi? Lo vedremo nei prossimi mesi, personalmente non so giudicare, a parte ragionare facendo i classici "conti della serva" come insegnano a scuola. E comprendo che questo sia un ragionare molto poco da economisti!
Una misura per me interessante resta quella della Flat Tax. Va contro il dettato Costituzionale come sostiene qualcuno? Vedremo. Secondo me no - e qui parlo da "giurista"- nel senso che comunque pagare in proporzione al reddito prodotto dovrebbe permettere di restare all'interno del dettato della Carta. La misura la ritengo interessante proprio perché se dovesse funzionare - magari affiancata da controlli rigidi- potrebbe abbattere l'evasione fiscale dovuta ad una pressione decisamente elevata. Se ciò avvenisse il saldo netto dei ricavi da parte dello Stato potrebbe anche aumentare, visto l'elevato numero di evasori. Anche questa è chiaramente una riflessione teorica. Dovremo vedere poi nel concreto. Una tassazione più bassa, però, potrebbe attrarre nuovi investimenti e questo invece potrebbe aiutare nel concreto. Chiaramente anche qui ci sarà chi ci guadagna e chi ci rimette. Ma come ogni manovra non potrà di certo accontentare tutti.
Giusta poi anche la revisione della Legge Fornero ed il ritorno alla quota 100, sperando che, anche qui, non ci siano il soliti trucchi nei calcoli. Capisco che il sistema previdenziale costa, ma se non si garantisce l'uscita dal lavoro e la possibilità di riassumere, specie in un paese che non cresce, diventa difficile sperare in nuova occupazione per i giovani.
Qualche dubbio continuo ad averlo sul reddito di cittadinanza in senso lato. Vedremo poi come sarà possibile ottenerlo - si parla già di tararlo in base al reddito familiare- ma soprattutto bisogna capirne le regole. Personalmente garantirei sì il reddito, ma dietro un lavoro svolto per gli enti pubblici che sono in carenza di personale. Della serie che ti do 780 euro, ma in base alle tue qualifiche ti impiego in Comune, in Provincia o in un qualsiasi ente. Una sorta di servizio civile "specializzato". Allora credo che la misura potrebbe avere un senso.
C'è poi la questione della pace fiscale - o condono che dir si voglia-. Giusto, sbagliato? Anche qui il ragionamento andrebbe fatto con serenità. Io ritengo che chi non ha pagato debba comunque pagare, semmai non lo deve fare con un sistema che strangola. Della serie che se uno restituisce una tantum quanto dovuto e senza interessi la "pace" possa essere fatta, se si annulla e basta, allora si tratta di un regalo che non va bene. Chiaramente da quel momento in poi non ci dovrebbero essere nuovi sconti.
Un altro aspetto interessante è la riduzione, fatta con legge costituzionale, da 630 a 400 dei deputati e da 315 a 200 dei senatori, con l'abolizione del Cnel e l'abbattimento del quorum per il referendum abrogativo. Sono d'accordo sulle seconde due misure. Lo sono anche sulla prima, ma va riflettuta anche con una legge elettorale che garantisca rappresentanza alla Camera ed al Senato a tutte le province italiane.
Ovviamente quelle che ho riportato sono valutazione superficiali fatte in base a quello che ho letto sui vari quotidiani, dell'una e dell'altra parte politica. Non hanno fondamento scientifico o economico e, magari, potranno essere facilmente smontate da chi ha competenze di questo tipo che, forse, riuscirà a convincermi del contrario. Di certo è che da discutere c'è tanto, da esultare o deprimersi a priori, sicuramente no.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (26 settembre 2018)

La nave Aquarius torna protagonista ed apre una crisi di rapporti nell'Unione Europea che è molto più ampia di uno scontro a distanza tra governo italiano e francese.
Il presidente transalpino Macron parla di "crisi politica tra Italia e Ue" (il dritto).
Il premier italiano Conte replica che Macron "parla per la Francia e non per gli altri stati" (il rovescio).
La verità probabilmente è una: il Governo italiano sul fronte sovranista e quello francese su quello europeista hanno già lanciato la campagna elettorale per le elezioni del Parlamento Ue del 26 maggio 2019. È evidente che i due blocchi trovano i sostenitori maggiori nei partiti di Governo dei paesi che pesano di più, Italia e Francia. La Germania, al momento, ha un esecutivo troppo fragile e diviso per giocare un ruolo decisivo in questa fase. Se guardiamo alle politiche interne tutto ciò trova conferma, con gli appelli nella Penisola a creare un fronte comune europeista che vada da Liberi e Uguali a Forza Italia ed una campagna francese in cui i pesi a destra si sono ribaltati nei rapporti con gli italiani. Se prima era Marine Le Pen a prestare il suo volto alle campagne di Matteo Salvini adesso è il leader della Lega a comparire in tutti i manifesti dell'alleata transalpina.
In tutto questo però è evidente la crisi delle istituzioni europee. Se Macron punta il dito sull'Italia parlando di crisi politica con l'Ue nella vicenda Aquarius, è evidente però che la questione non è stata portata all'attenzione dell'Europa -dove con i voti ponderati difficilmente avrebbe ottenuto un risultato positivo- ma ha dovuto trovare accordi unilaterali con Spagna, Portogallo e Germania, governi i cui partiti siedono sul fronte europeista.
Con la crescita, dunque, di partiti e movimenti sovranisti in tutto il continente appare chiaro che il blocco europeista deve cercare di battere un colpo e per farlo ha bisogno di un nemico. Quel nemico che il fronte opposto ha da anni trovato a Bruxelles e che sul tema dell'immigrazione, agli occhi dei suoi elettori, è stato legittimato nel ruolo.
Se per il blocco europeista, fino ad oggi, gli avversari sovranisti -Polonia e Ungheria in primis- facevano poca paura ed avevano un peso poco consistente, anche in termini di europarlamentari espressi, un Governo italiano con i suoi due partiti lanciati dai sondaggi attorno al 60 per cento e con grande visibilità mediatica, rappresenta il pericolo di un effetto domino che potrebbe estendersi a tutta l'Europa, sostenuto anche dalla Brexit e dai sovranismi americano di Trump e russo di Putin.
Insomma lo scontro a distanza tra Macron ed il Governo Italiano (nella fattispecie Salvini) non può essere limitato al tema dei migranti (su cui le politiche francesi non sono tanto più votate all'accoglienza rispetto a quelle attuali italiane), ma va letto in un quadro più ampio di una futura leadership europea.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (23 settembre 2018)

Con il ritorno dell'autunno e l'entrata nel vivo delle varie discipline gli italiani tornano a discutere di sport, ma anche della loro visibilità.

Da un lato il ritorno del campionato di serie A e della Champions League riempiono le prime pagine dei giornali a dispetto delle altre discipline sportive (il dritto).
I successi della Nazionale di pallavolo riaprono però il dibattito sullo squilibrio mediatico del calcio rispetto agli altri sport (il rovescio).
Una situazione di contrapposizione tra il calcio ed il "resto degli sport" che è destinata a proseguire anche nel futuro.
Difficile prendere una posizione per chi ama lo sport in generale ed anche la storia sportiva che fa parte di quella sociale di un paese. Nel caso dell'Italia questa parla sicuramente di discipline che sono entrate nel dna dei cittadini. Il calcio lo è sicuramente ancora oggi, nel passato lo erano anche gli eroi del ciclismo e del pugilato, come lo sono ancora la Ferrari ed i campioni de motomondiale.
Il calcio chiaramente ha saputo cavalcare negli anni il cavallo del marketing con un'esposizione mediatica che rende questa disciplina talmente popolare da mettersi da sola, con i suoi Mondiali, in concorrenza con le Olimpiadi (che raggruppano tutte le altre, almeno le principali).
Logico quindi dibattere, soprattutto sul tema dei giochi di squadra, di fronte magari ad una Nazionale come quella di pallavolo che sta entusiasmando, difficile affrontare il dibattito con freddezza se non lo si inquadra nella quotidianità del Paese dove le vicende calcistiche superano spesso per interesse anche quelle, ben più importanti, politiche. E se vogliamo fare un ulteriore esempio sociologico si può riflettere su un'Italia in cui in ogni borgo non troviamo i servizi principali, ma quasi certamente è presente un campo da calcio.
E qui ci si può domandare se questo sia giusto oppure no.
Chi ha praticato uno sport a livello agonistico dirà di no, perché l'atleta, di qualsiasi disciplina, dedica tempo e sforzi per gli allenamenti, ma i successi non vengono celebrati allo stesso modo.
Chi guarda alla questione sotto l'aspetto economico dirà che questo è ciò che più conta è che le logiche d mercato rispecchiano il reale interesse degli italiani verso le varie discipline.
Insomma anche per chi, come me, ama lo sport a tutto tondo, da qualsiasi punto lo si guardi il dibattito non avrà mai fine!!!

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (21 settembre 2018)

Sulle Olimpiadi invernali il fronte Torino-Milano/Cortina e M5S-Lega sembra essersi rotto. Nelle prossime ore potrebbe giungere la scelta definitiva da presentare al Cio (Comitato Internazionale Olimpico) o arrivare alla rinuncia della candidatura italiana.
L'Italia già alcune mesi fa aveva clamorosamente rinunciato all'organizzazione delle Olimpiadi di Roma 2024 dopo l'avvento della giunta Raggi nella Capitale. Una corsa che di fatto era quasi vinta, con conseguente figuraccia nei confronti del Cio (il dritto).
L'autorevolezza del presidente del Coni Malagò che si era speso in prima persona per la Capitale e la comprensione, da parte del comitato olimpico, che la rinuncia era avvenuta per scelte estranee al mondo dello sport ed all'allora Governo, ma tutte interne alla nuova giunta di Roma, ha garantito all'Italia la possibilità di concorrere, ancora da favorita, a quelle invernali del 2026, fortemente volute (a differenza della collega Raggi) dal Sindaco M5S di Torino Appendino, puntando così su una candidatura a tre Milano-Torino-Cortina (il rovescio).
In tutte questo l'Italia rischia la seconda figuraccia. Milano aveva già pensato, nel passato, di concorrere per quelle estive senza mai riuscirci, soprattutto alla luce della candidatura romana. Dopo la visibilità garantita dall'Expò il Sindaco Sala ha compreso che anche un'Olimpiade invernale, così come avvenuto nel 2006 per Torino, avrebbe potuto garantire visibilità ed investimenti. Obiettivamente una candidatura a tre sembra di difficile realizzazione e rischia di arenarsi definitivamente - nonostante gli ultimi tentativi di alcune forze politiche- su chi metterà il nome al primo posto. Questione, dunque, di brand. Vero è che un asse Milano-Cortina, che unisce la grande città e la località più esclusiva del paese che ha già ospitato le Olimpiadi invernali, sostenuta da un sindaco Pd e da due Governatori della Lega potrebbe avere grosse chance di arrivare all'obiettivo. Non fosse altro perché rappresenta la scelta di due regioni che, volendo, hanno le risorse per organizzare i Giochi senza pesare troppo sulle casse pubbliche. Sala stesso ha ricordato come Lombardia e Veneto abbiano un pil superiore rispetto anche a Paesi confinanti (tipo l'Austria) e, questo, dovrebbe garantire le risorse necessarie per organizzare i Giochi, abbassando di molto l'investimento dello stato centrale. Diverso è il caso di Torino, con il ministro Toninelli - critico sulle Olimpiadi di Roma- che proprio oggi sostiene il sindaco Appendino nella richiesta di una nuova corsa in solitario del capoluogo piemontese. In questo tutte le parti in causa hanno accettato un'ultima mediazione del sottosegretario Giorgetti, ma la quadra sembra ormai difficile da trovare e, comunque adesso anche costruire una candidatura diversa da quella a tre rappresenterebbe una vera e propria corsa contro il tempo.
In tutto questo c'è la credibilità dell'Italia.
Personalmente ho sempre sostenuto che se organizzate bene le Olimpiadi possono essere un volano importante per l'economia di un territorio (a livello di immagine, infrastrutturale e occupazionale). Le avrei volute a Roma, le vorrei di nuovo nel Nord Italia. Torino è stato un esempio di buona organizzazione, come dimostra il giudizio positivo che ne hanno dato i pentastellati. Difficilmente si potranno organizzare Olimpiadi senza il pieno sostegno del Governo, anche finanziario, come vorrebbe il Ministro Di Maio. Il Cio vuole, quanto meno, le garanzie dall'esecutivo, anche nel rispetto dei tempi di realizzazione delle opere.
L'Italia non può sicuramente permettersi un altro passo falso, per il rischio di uscire dalla possibilità di organizzare grandi eventi internazionali anche nelle altre discipline sportive.
In tutto ciò, più che dire no, a me piacerebbe una politica che dimostrasse che anche da noi si può fare e fare bene, senza mettere le mani avanti con i soliti luoghi comuni che il grande evento si trasforma solo in una "ruberia". Sta a chi amministra dimostrare che non è così e che lui sa fare meglio di altri trasformandole in un'opportunità prima ed una risorsa poi.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (18 settembre 2018)

Tra cene che ci sono state e quelle che non ci saranno le manovre future dei partiti sono già iniziate. Tutto questo con un Governo che procede con equilibri non sempre semplici da mantenere. Da qui un nuovo spunto di riflessione su cui dibattere.

Nel centrodestra cenano Salvini e Berlusconi per mettere a punto le strategie future (il dritto).
Nel Pd non cenano insieme Calenda, Renzi, Minniti e Gentiloni nella ricerca di una sintesi per creare un'alternativa a Zingaretti l'unico candidato già in campo (il rovescio).
È evidente dunque che la Lega abbia raggiunto l'obiettivo di essere il partito forte del centrodestra e di aver convinto lo stesso Berlusconi ad accettare questo ruolo. Un centrodestra che comunque aveva bisogno di creare una leadership dopo 25 anni di comando indiscusso del Cavaliere.
Nel centrosinistra molto, se non tutto, ruota attorno al Pd e lì è un mondo a parte, come se fossero tanti partiti in uno solo. Un partito che è in evidente crisi di identità. Un'identità che, forse, non è mai nata per un soggetto politico che univa persone venute da esperienze e culture diverse, ma soprattutto che aveva una logica chiara inserita in un sistema maggioritario bipolare. Sistema che alla fine non ha voluto lo stesso Pd, che ha optato per uno proporzionale che esalta i particolarismi più delle unioni. Tutto questo in vista di un congresso che rischia di essere l'ennesima sfida fratricida e divisiva. Per i più cinici si potrebbe dire anche conclusiva, nel senso che il partito potrebbe andare verso nuove divisioni o, più probabilmente, lo scioglimento.
Da qui giunge una nuova riflessione. In una politica che sta cambiando e con delle nuove alleanze transnazionali, come evolveranno i partiti dei prossimi anni? La sinistra estrema manca oggi di un coordinamento di tal genere dopo che dalla Grecia ci avevano provato Tsipras, prima, e Varoufakis, poi. Il Pse è In crisi, anche a causa di quelle dei singoli partiti socialisti nazionali, il Ppe deve combattere alcune battaglie al suo interno -a partire da quelle con gli esponenti del blocco di Visegrad- , mentre a destra il fronte che comprende il blocco sovranista che vede l'asse portante Salvini-Le Pen con l'aggiunta di Orban (se dovesse uscire dal Ppe) sembra aver puntato già su questa strada.
Insomma un percorso quello che vedremo su tutti i fronti politici che, da qui a qualche mese, potrà cambiare tutti gli scenari. Ed in tutto questo c'è un'ultima domanda: che ruolo giocherà in Italia e in Europa il Movimento 5 Stelle?

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (16 settembre 2018)

Le parole a difesa della libertà di stampa pronunciate nelle scorse ore dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella offrono spunti di riflessione che, indipendentemente dalle posizioni, dovrebbero far ragionare su cosa sia un buon giornalismo. Ovviamente questa rubrica è insufficiente per dare le risposte, ma il dibattito che intende aprire può aiutare a raggiungere l'obiettivo
Che in Italia la libertà di stampa (in senso tecnico), nonostante le parole del politico di turno che, nel momento in cui raggiunge un ruolo di visibilità, possono far pensare la cosa opposta, non è a rischio (il dritto).
Il pericolo di una stampa sempre più soggetta alle pressioni del potente - o del finanziatore- di turno è invece tangibile (il rovescio).
Da qui dobbiamo partire per analizzare il messaggio, rigoroso sul piano costituzionale, che è stato lanciato con grande sobrietà da Mattarella. Parole che sono pesanti, soprattutto, nel riflettere quale sia la libertà di stampa e quale giornalismo meriti realmente questo paese. Un passaggio è infatti fondamentale ed entra direttamente in quello che dovrebbe essere il ruolo della professione giornalistica. Un passaggio che riprendo direttamente dai quotidiani..
"Una stampa credibile - sostiene Mattarella su Repubblica - sgombra da condizionamenti di poteri pubblici e privati, società editrici capaci di sostenere lo sforzo dell'innovazione e dell'allargamento della fruizione dei contenuti giornalistici attraverso i nuovi mezzi, sono strumenti importanti a tutela della democrazia. Questa consapevolezza deve saper guidare l' azione delle istituzioni".
Poche righe che rappresentano l'essenzialità del ruolo della stampa. Quel ruolo libero e credibile che trasformi davvero la stampa in quel "cane da guardia del potere" e, dunque, di soggetto autorevole e credibile per il cittadino che legge o che ascolta (insomma il cosiddetto quarto potere di "orwelliana" memoria).
E' sempre stato così in Italia, ma soprattutto lo è? Potremmo dire che questa libertà non è stata sempre assicurata. Non dobbiamo guardare alle classifiche mondiali che pongono il nostro Paese in posizione piuttosto bassa in tema di libertà di stampa. Quello è dovuto principalmente alle minacce che i giornalisti subiscono, alle querele cosiddette "temerarie" che si trovano a fronteggiare sul loro lavoro, al numero di cronisti che, proprio perché agiscono in libertà finiscono sotto scorta di fronte ai propositi delle organizzazioni criminali.
La libertà di stampa non si può neppure considerare in base allo stesso indirizzo politico del giornale o della televisione. All'estero ci sono degli esempi chiari. Il Times - prendiamo uno dei più influenti quotidiani europei- è tradizionalmente un giornale "conservatore", ma i suoi professionisti riescono ad avere un'autorevolezza tale per cui ci troviamo di fronte ad una testata considerata dal lettore credibile. E per questo fa opinione.
Il New York Times ha spesso sostenuto i democratici americani, ma non ha risparmiato loro critiche o assicurato elogi alla parte opposta.
In Italia, probabilmente non ci sono mai state testate considerate "super partes" -se non Il Corriere della Sera criticato però per la sua "ufficialità", cioè per il fare un giornalismo, all'epoca, considerato seduto e poco propositivo-, tanto che, nel passato, i giornali di partito hanno avuto una sorta di ruolo di "contro informazione" rispetto a quella degli editori tradizionali. Non è un caso che i casi di informazione all'epoca considerata innovativa sono stati quelli de Il Giorno, sotto la direzione di Italo Pietra e su un'intuizione del presidente dell'Eni Mattei (e siamo in ambito di un giornale che rientrava nell'orbita pubblica) e Repubblica, nata nel 1976 per impulso diretto dei giornalisti (fra l'altro importando in Italia il formato tabloid). Quotidiani ben lontani, anche nello spirito, da quelli attuali.
E' indubbio, dunque, che la stampa italiana debba innovarsi, che debba seguire quella linea tracciata dal Presidente della Repubblica, che debba riuscire, anche nell'equilibrio delle proprie opinioni, ad essere superpartes. Una stampa in cui le idee siano ben presenti al suo interno, ma che non ne compromettano la capacità di analisi. Una stampa che non partecipi alla gara tra chi urla di più e chi sa fare meglio il tifo, che lasci da parte il personalismo. Una stampa che cammini a braccetto con altre due grandi libertà, quella di espressione del proprio pensiero, ma soprattutto, di critica. E la critica è tanto più credibile quanto più si è svincolati da pressioni. Non nego che a me piacerebbe anche una stampa che sappia essere criticata e che non si arrocchi, spesso, in difese d'ufficio, ma che dialoghi, ragioni, stia sempre di più tra la gente e la ascolti, che non partecipi al dibattito politico da protagonista, ma in quel ruolo di garante che è fondamentale per farle recuperare quella centralità che, in una democrazia, è determinante. Insomma una libertà di stampa che viaggi a braccetto con una "stampa libera". Solo così le parole del Presidente della Repubblica e quelle della nostra Costituzione non cadranno nel vuoto. Noi giornalisti, nel raggiungere questo obiettivo, siamo determinanti, perché siamo i primi che la nostra libertà, ma soprattutto credibilità, dobbiamo custodirla e difenderla.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (13 settembre 2018)

Lo scontro tra le attuali istituzioni UE ed il fronte sovranista sta emergendo con tutta la sua forza.

Da un lato la condanna del Parlamento Europeo contro l'Ungheria di Orban (il dritto).
Dall'altro l'attacco del commissario Moscovici al Governo Italiano e le preoccupazioni espresse dal Presidente della Bce Mario Draghi (il rovescio).
Già alcune settimane fa commentando la vicenda della Diciotti vi avevo letto una campagna elettorale per le Europee che stava già prendendo campo. Adesso la cosa appare evidente. Ancor più evidente è il timore che i sovranisti stanno suscitando in chi, fino ad oggi, ha guidato le istituzioni continentali. Il risultato delle forze di destra e, soprattutto, di estrema destra in Svezia sono stare l'ultimo campanello di un allarme che per l'attuale governance europea suona forte. Ma c'è qualcosa in più: le forze sovraniste stanno già ragionando di una coalizione internazionale che arrivi compatta al voto del prossimo maggio. Se questo si unisce alla grave crisi del Pse si comprende come, effettivamente, la possibilità di vedere questi partiti collezionare ottimi successi non è fuori luogo.
Non va poi dimenticato come i sovranisti siano al governo in vari paesi dell'Ue, elemento determinante nella formazione della prossima commissione UE. C'è poi la forte possibilità che l'asse Ppe-Pse non tenga nei numeri del nuovo Parlamento e, dunque, che siano da valutare nuove maggioranze.
In tutto questo entro un paio di anni dovrà essere nominato il nuovo presidente della Bce. Una crescita sovranista potrebbe chiudere la porta ad un "rigorista".
Insomma, al di là delle idee politiche i fatti parlano di uno scontro che è soprattutto su un'idea diversa di Europa, di un'Unione che oggi va comunque rivista e, forse, ripensata secondo lo spirito originario adattato ai nostri giorni, gli attuali protagonisti istituzionali che vedono i loro posti a rischio.
Il risultato finale quale sarà? È difficile prevederlo senza capire quale sarà la nuova composizione del Parlamento e quanto peseranno le forze sovraniste che sognano un clamoroso ribaltone.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (11 settembre 2018)

Ho atteso a scrivere dell'11 settembre e dell'attacco alle Torri Gemelle. In realtà ho atteso 17 anni. Finora non lo avevo mai fatto.

Da un lato c'è che sono innamorato di New York e io l'ho conosciuta con le Twin Towers, tanto che in casa ho i poster della Grande Mela rigorosamente precedenti all'attacco (il dritto).
Dall'altro c'è il fatto che la piazza sottostante alle Torri Gemelle era uno dei miei luoghi preferiti, dove mi intrattenevo spesso per il pranzo e, dunque, per me l'attacco del 2001 è stato ancor più duro da digerire (il rovescio).
New York, per me, è sempre stata una meta, uno di quei viaggi sognati fin da bambino, tanto che per regalo di maturità chiesi un biglietto aperto tre mesi per gli States. Non attesi neppure di conoscere il risultato dell'esame. Lo seppi per telefono. A New York trascorsi due mesi conoscendola in tutte le sue sfumature, camminando da nord a sud di Manhattan, nei suoi quartieri più o meno poveri. C'erano però dei luoghi che conoscevo già in partenza e che si sono rivelati esattamente quelli che mi sarei aspettato: Central Park, l'Empire State Building e, appunto le Torri Gemelle. Tre realtà che toccavo praticamente ogni giorno. Della piazza sottostate alle Twin Towers, dove spesso sostavo all'ora di pranzo, mi incuriosivano sia per la loro maestosità, ma mi piaceva anche la fibrillazione della zona finanziaria, con tanti "white collars" - i colletti bianchi- che uscivano dal lavoro con il, loro panino e sostavano negli stessi punti Tutti con a cravatta rigorosamente spostata sulla spalla per non sporcarsi. Da lì a poco avrei iniziato l'università ed anche io mi vedevo, nel futuro, probabilmente come loro, impegnato in qualche ufficio e sempre di corsa.
Sono sincero, soffro di vertigini e non sarei mai salito da solo sulle Torri. Ci volle Vinnie (Linda Jo Pinto), uno dei parenti che mi ospitava per convincermi a salire fino agli oltre 400 metri del grattacielo. Vinnie è stato un Vigile del Fuoco, uno di quelli che qualche anno dopo sarebbero stati impegnati nei soccorsi. Nel corso degli anni mi ha sempre regalato le magliette delle stazioni in cui lavorava e le indossavo ben prima che i membri del NYFD diventassero degli eroi a livello mondiale. Maglie che custodisco gelosamente. Mi accompagnò e mi fece scoprire i segreti di questo luogo, all'epoca avveniristico. Mi ricordo ancora che parcheggiamo nei pressi della sottostante stazione dei Vigili del Fuoco che, miracolosamente, è rimasta intatta dopo i crollo.
Sto ancora cercando di capire che cosa sia realmente accaduto, come sia potuto accadere. Tutto resta un interrogativo che, a mio giudizio, fatica ancora ad avere una risposta chiara. Restano le vittime, i ricordi e una certezza: dopo l'11 settembre il mondo non è stato più lo stesso.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (9 settembre 2018)

Il Ministro Di Maio annuncia che entro l'anno ci sarà lo stop all'apertura domenicale dei centri commerciali, insorgono le catene della grande distribuzione, sono d'accordo la Cei, Confesercenti e non è contraria Confcommercio. Ci sarà da capire che cosa diranno i sindacati. Intanto, però, tra le gente il dibattito è destinato ad aprirsi.
L'apertura domenicale, secondo il ministro Di Maio, "sta distruggendo le famiglie italiane" (il dritto).
Pare che siano però 17 milioni le persone che approfittano della domenica e dei giorni festivi per fare la spesa e per dedicarsi allo shopping (il rovescio).
Come al solito, dunque, il buonsenso sarà (o sarebbe) determinante.
Personalmente non sono contrario alla liberalizzazione che fu imposta dal Governo Monti, ovviamente è fondamentale che le regole ed i bonus previsti per il lavoro festivo e domenicale vengano rispettati. In un momento di crisi, inoltre, non è neppure sbagliato garantire l'apertura nei giorni in cui ci può essere maggior affluenza di clienti. Testimonianza ne è il fatto che gli stessi centri commerciali si riempiono proprio in queste giornate. Grosseto ne è un esempio lampante.
Nel valutare la questione bisogna anche capire che cosa comporterà questa scelta. Sarà vero che senza le aperture domenicali e dei festivi sono a rischio il 30 per cento dei posti di lavoro, come sostiene qualcuno? Magari la cifra è alta, ma sicuramente un effetto negativo sull'occupazione ci sarà.
Da persona che, sin da quando ha scritto il primo articolo, ha quasi sempre lavorato la domenica posso dire che questo non mi ha mai creato problemi, almeno fino a che sono stato single. Non nego però che da quando ho famiglia le domeniche impegnate un po' di più mi pesano. E' questo infatti il momento in cui puoi programmare qualcosa insieme, in cui, soprattutto con la scuola aperta, ti puoi dedicare ai figli. Ciò detto quando scegli un certo lavoro sai che i festivi ed i fine settimane possono essere impegnati e, dunque, te ne fai anche una ragione.
Accanto a questo c'è anche il fatto che se le aperture domenicali garantiscono più posti di lavoro e questo vuol dire che, per le famiglie, ci sono maggiori opportunità.
Poi c'è l'altro aspetto: quante sono le professioni che prevedono il lavoro domenicale? Sicuramente molte e non per questo si propone di apportare alle stesse delle modifiche sostanziali.
C'è poi il paragone con l'estero dove, in molti casi, le liberalizzazioni sono a tutto tondo. Nel Nord Europa o in America è normale avere negozi aperti tutta la notte, dotati di tutti i mezzi di sicurezza, dove, magari, ad una certa ora si chiude la porta e con l'addetto che serve da una piccola finestra. Negozi h24 che lavorano sette giorni su sette.
Da qui la mia domanda: ma chi fa del commercio la sua professione e, dunque, accetta la libera concorrenza, non può decidere quanto e come stare aperto? E chi decide di lavorare con lui (se assunto rispettando tutte le regole) non compie una libera scelta? Ecco due quesiti che se uniti a quello che accade all'estero, mi spingono a capire più chi spinge per mantenere le liberalizzazioni rispetto a chi, invece, vorrebbe dire stop per legge, limitandole solo a poche domeniche all'anno.
E voi che cosa ne pensate?

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (8 settembre 2018)

Non nego che quando un piccola rubrica come questa porta a ragionare e discutere, ma anche a qualche risultato concreto, faccia piacere. Nei giorni avevo infatti cercato di stimolare un ragionamento sui nostri borghi partendo da Montepescali. Un dibattito che effettivamente è stato concreto.

Montepescali è stato visitato dal consigliere regionale della Lega -segretario dell'ufficio di presidenza- Marco Casucci. Qualche settimana fa aveva presentato una mozione in Regione di fronte alla segnalazione del degrado dell'antico manufatto. Ieri ha voluto toccare con mano la situazione visitando anche altri due gioielli del paese, il museo degli usi civici e la ristrutturata chiesa di San Niccolò (il dritto).
Da Tatti Plinio Cillerai ha lanciato alcune proposte per rivitalizzare un altro gioiello maremmano che, pur trovandosi nel comune di Massa Marittima, guarda alla pianura grossetana (il rovescio).
Ci sono stati altri interessanti spunti, come quello dell'ex consigliere regionale Giovanni Barbagli, attento alla realtà di Monticello, dell'ex presidente dell'Acquedotto del Fiora Claudio Ceroni, cinigianese, dell'avvocato Patrizio Galeotti, che dalla Puglia è sempre attento alla sua Braccagni, Nello Lolini che giustamente spera nella nascita di una Pro Loco ch unisca Braccagni e Montepescali, Giorgio Cipriani, che dell'antico Borgo segnala, soprattutto i pro, del viverci e Lorenzo Izzo, che dalla sua esperienza lancia idea per la valorizzazione turistica dei nostri borghi.
Penso di aver elencato tutti -mi scuso se mi sono dimenticato di qualcuno- perché molti spunti sono idee e testimonianze concrete per lo sviluppo del nostro territorio. Idee che possono essere a disposizione dei nostri amministratori. Tutti noi possiamo dare un contributo, al mondo della politica non resta che cogliere questi segnali, toccare con mano, provvedere con eventuali soluzioni. Forse non servono contributi, ma incentivi. In questo modo si può stimolare voglia di fare, fantasia e creatività. Solo così si possono avere nuove opportunità per la nostra terra e che vadano dal mare alla montagna.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (7 settembre 2018)

Lavori pubblici ed infrastrutture. Sono questi due temi che da quanto questa rubrica FB è nata hanno suscitato un dibattito sicuramente interessante, spesso costruttivo, per guardare al futuro del nostro territorio.
Quando si parla di infrastrutture lo sguardo volge spesso lontano dalla Maremma, a Roma o a Firenze, dove quelle strategiche vengono programmate (il dritto).
Quando si parla invece di lavori pubblici si guarda spesso al locale e, a causa dei tagli degli ultimi anni, tutti i comuni - e ancor di più le province- soffrono, indipendentemente dai loro colori politici. Con essi soffrono anche le manutenzioni (il rovescio).
Cerchiamo oggi di fare un ragionamento neutro su questi temi perché possano essere anche da ispirazione per coloro che, a tutti i livelli rappresentano i cittadini, partendo da una base: il gioco di squadra è sempre fondamentale per raggiungere i risultati. Della serie: giuste le appartenenze politiche e le diverse idee, ma quando si parla di territorio la bandiera è - e dovrebbe essere- unica. Troppe volte non facendolo (scusate se sono sempre ripetitivo su questo punto per me fondamentale) abbiamo visto fare scelte che hanno premiato altre realtà, che hanno lavorato compatte, rispetto alla nostra. Sotto questo aspetto riconoscere i meriti di chi agisce bene, anche se non la pensa come noi, dovrebbe essere cosa normale e non un'eccezione.
Partendo da questo assunto oggi voglio uscire dal dibattito, tanto importante quanto inflazionato, del Corridoio Tirrenico, della Due Mari o della Ferrovia Tirrenica. Voglio invece ragionare su quelle che sono le reti viarie e ferroviarie interne, le prime percorse ogni giorno da migliaia di mezzi, la seconda (mi riferisco alla linea Grosse-Siena-Firenze) che ha una grande potenzialità, ma inespressa.
La prima riflessione è questa. Tutti noi ci lamentiamo delle difficoltà di collegamento con Roma o con Firenze, ma più o meno sappiamo quanto tempo impiegheremo per percorrere i tragitto. Quanti però sanno quanto occorre per raggiungere Pitigliano o Sorano da Grosseto? O per arrivare a Castell'Azzara o a Semproniano? O per giungere a Montieri o a Monterotondo? E se uno dovesse ad esempio, attraversare la nostra provincia partendo proprio da Montieri per giungere a Pitigliano che strada dovrebbe fare e quanto impiegherebbe? Le risposte sono semplici: in molti casi è più facile raggiungere dal capoluogo Firenze o Roma che uno dei paesi della nostra provincia e per attraversare il nostro territorio spesso sappiamo quando si parte, ma non quando si arriva. In tutto questo entrano i lavori pubblici e le infrastrutture ricordando sempre che molte di queste strade hanno bisogno di manutenzioni. Quelle stesse che con i tagli alle Province, criticati anche di recente dal presidente di quella di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna, così come avevano fatto i predecessori di centrosinistra, sono difficili - se non impossibili da realizzare.
Tagli che colpiscono anche i comuni che faticano a realizzare interventi anche minimi. Interventi che, se realizzati, di questi temi, rappresentano quasi grandi opere. Ecco allora che spesso la toppa viene salutata con grande enfasi, anche laddove servirebbe di rifare l'intero manto stradale.
Qui arrivo all'altra opportunità da sfruttare per la Maremma: la ferrovia che da Grosseto conduce a Siena ed a Firenze. Possibile che nel 1864 se ne siano intuite le potenzialità, tanto da inaugurarla, ed oggi la si considera una rete secondaria? Possibile che anche in questo caso si parta, ma non si sappia con certezza quando si arriva e che, se anche lo si sa, per raggiungere il capoluogo toscano si impieghi un tempo talmente lungo che, anche visti i costi dei trasporti, alla fine si preferisca l'auto, specie sfruttando i bassi costi della nuova tramvia fiorentina? Non potrebbe questa linea diventare una vera navetta veloce che garantisca in meno di un'ora di raggiungere Siena ed in meno di due Firenze? In questo caso, considerando anche la comodità del viaggiare in treno, sarebbe una soluzione veramente competitiva.
E' questa un'ipotesi assurda? A mio giudizio no, se ai treni rapidi si accostassero comunque quelli locali che fermano in tutte le stazioni. Basta guardare alle esperienze che esistono in giro per il mondo e prendere ispirazione. Un servizio è buono ed utile solo se efficiente, se invece è fatto giusto per dire che esiste e che si è attenti ai territori serve a poco.
Insomma io il mio sasso l'ho lanciato. Se qualcuno non l'ha mai fatto - o lo ha fatto solo in parte- gli consiglio un giro per le strade interne della Maremma. Non assicuro che si viaggi bene, ma di certo vedrete e conoscerete luoghi che meritano scoprendo borghi, castelli e un ambiente che, in molti casi, è unico.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (5 settembre 2018)

I beni culturali rappresentano un volano per il nostro paese ed un valore aggiunto per la nostra economia, anche locale.
Molti borghi medievali, piccole realtà che hanno una storia millenaria, rappresentano quei luoghi da valorizzare e da far rivivere dovendo combattere contro lo spopolamento (il dritto).
Il recupero di molti di questi paesi deve però passare per una politica nazionale e locale che favorisca i restauri e che permetta con opportuni contributi di farli vivere attraverso la creazione di esercizi commerciali e luoghi di aggregazione (il rovescio).
Tanti pensieri di questo tipo mi hanno accompagnato durante una delle mie passeggiate a Montepescali, il Falcone (ma anche Balcone) della Maremma. Un luogo dalle potenzialità inespresse, ma che rappresenta ancora oggi un esempio di architettura medievale. Un paese che, come molti altri in Maremma, sta perdendo abitanti e con una popolazione che, nonostante la vicinanza a Grosseto, registra un notevole invecchiamento. Un borgo in cui hanno chiuso i negozi e che vede i servizi garantiti da ambulanti che si fanno carico di vendere i generi di prima necessità.
Ne ho dunque approfittato per un piccolo reportage fotografico che fa scoprire un paese ben tenuto, con una forte identità, che ha delle emergenze architettoniche da salvaguardare, una su tutte le antiche Mura, l'altra il Museo che necessita di un restauro per renderlo di nuovo accessibile ai visitatori.
Se in alcuni tratti, le Mura, sono infatti ben tenute e il Baluardo (da cui si domina con lo sguardo la pianura fino al mare) rappresenta il luogo più bello (e qui do manforte ai residenti che chiedono a chi vi fa passeggiare i cani di portare con sé i sacchetti per gli escrementi), nel lato nord il rischio crolli, se non imminente è evidente.
È fondamentale dunque un piano di recupero che sia a sostegno anche dei privati i cui orti costeggiano la cinta muraria. Le Mura sono un bene comune e come tale dovrebbero essere considerate, indipendentemente dalle proprietà che queste attraversano.
Da qui la necessità di un forte intervento che coinvolga le amministrazioni locali, la Regione e lo Stato. Magari con l'aiuto dei grandi sponsor.
Anche sul museo i locali Usi Civici non possono e non devono essere lasciati soli. L'intervento è importante, ma tutela un piccolo gioiello di storia locale che custodisce anche la copia dell'ultima ghigliottina utilizzata in epoca lorenese.
Qualcuno suggerisce anche la possibilità di aprire al pubblico l'antica torre civica (il Campanone) per avere uno sguardo a 360 gradi sul territorio, dal mare alle colline, che sarebbe sicuramente "mozzafiato".
Tutto questo in un momento in cui va riconosciuto al Comune di Grosseto l'aver riscoperto Montepescali come un luogo di cultura, con iniziative che ne hanno coinvolto gli angoli più suggestivi.
Concludo con una domanda: ma quanti sono i gioielli di questa portata in Italia?
Tantissimi (provo a dare anche una risposta) e sono tutti luoghi delicati e da valorizzare. Basti pensare alla provincia di Grosseto dove se ne contano a decine. Da qui la necessità di sensibilizzare un grande piano nazionale per il recupero degli antichi borghi e che possa creare un nuovo volano per settori strategici, come il turismo, la cultura e l'edilizia.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (3 settembre 2018)

Con l'estate che sta volgendo al termine, portando con sé anche tutti gli eventi che, in Maremma, hanno allietato la bella stagione, ci apprestiamo a vivere un periodo autunnale/invernale in cui la cultura non va in vacanza. Proprio per questo, oggi, la nostra piccola rubrica FB, guarda ai beni culturali.
Nel luglio scorso il Fai (Fondo Ambiente Italiano) ha lanciato anche a Grosseto la campagna sui "luoghi del cuore". Tanti sono annoverati in provincia, ma due sono quelli su cui si è posta l'attenzione: Ponte Tura, alle porte del capoluogo, e la Cripta San Salvatore di Giugnano, nel comune di Roccastrada (il dritto).
Sostenere questi luoghi non costa nulla, ma farlo può avere un grande valore, anche economico, consentendo di poter ottenere le risorse stanziate dal Fai e recuperare due luoghi tanto suggestivi, quanto bisognosi di un intervento di recupero importante (il rovescio).
Va dato atto al Fai presieduto a Grosseto dall'architetto Giovanni Tombari, coadiuvato da uno staff molto preparato, di aver lavorato molto negli ultimi tempi per far scoprire ai maremmani luoghi importanti della nostra realtà che, spesso, erano sconosciuti. Va dato anche atto che la scelta di Ponte Tura e della Cripta di Giugnano sia quanto mai azzeccata. Per varie ragioni.
Ponte Tura è un simbolo della Maremma, ben noto ai "vecchi" grossetani con la sua Steccaia. Fu da lì che gli ingegneri lorenesi dettero il via alla bonifica per colmata prosciugando il vecchio Lago Prile ridotto ormai ad un acquitrino e rendendo quelle acque salmastre e covo di malaria un terreno fertile, da cui nascono prodotti importanti della terra ed eccellenze che si stanno affermando in tutto il mondo. Un luogo, Ponte Tura, da scoprire per chi non lo avesse già fatto e con un fascino che resta immutato nel tempo.
La cripta di San Salvatore di Giugnano, ai piedi di Roccastrada, rappresenta un altro luogo di grande fascino e mistero. Vive ancora, praticamente sotto terra in un'area boscata, la cripta romanica dell'antico monastero. Sorge su un'area privata, ma visitabile da parte di chi vuole uscire per qualche minuto dal tempo e ritrovarsi in una di quelle storie che rievocano il Medioevo, o che, almeno a me, riporta agli "atri muscosi" ed ai "fori cadenti" descritti dal Manzoni nell'Adelchi.
Due luoghi diversi per epoca e per tipologia che, però, hanno una loro valenza. Due luoghi che rappresentano la storia della nostra terra, una storia che esiste e che è preziosa. Non avremo le grandi città d'arte, ma abbiamo ancora delle realtà suggestive e, per noi, importanti. Lo è l'opera lorenese che qui è ancora intatta e che rappresenta anche la nostra "rivoluzione industriale" intesa in senso lato. Non è un caso che se a Grosseto si bonificava, a Follonica nascevano le fonderie leopoldine che stanno tornando all'antico splendore. Ma anche il Medioevo ha un suo perché e poco distante dalla cripta di Giugnano domina il Castello di Montemassi che è ancora oggi la più conosciuta "fotografia" del Medioevo giunta fino a noi -ed in tutto il mondo- grazie al talento pittorico di Simone Martini.
Insomma in questi giorni si rincorrono, anche sui quotidiani nazionali, gli appelli da parte di personaggi famosi a sostegno dei "loro" luoghi del cuore. Navigando in internet ho notato come Ponte Tura e la Cripta di Giugnano siano molto lontani da quelli più famosi, ma comunque tra il web e la raccolta firme che è sempre possibile - e gratuita- si può arrivare a quel sostegno fatto di 2000 cittadini per permettere loro di accedere ai bandi. Si tratta di una grande occasione per il recupero di queste due affascinanti strutture. Non saranno famosi, ma sono preziosi, non avranno grandi testimonial, ma potrebbero avere un territorio pronto a far scudo attorno ai suoi beni culturali.
Basta votare su www.iluoghidelcuore.it e sperare che la battaglia partita a luglio, il 30 novembre abbia avuto successo. E se non dovesse ricevere i finanziamenti, un successo della campagna, potrebbe comunque far accendere i riflettori su luoghi che, ad ogni maremmano, dovrebbero stare veramente a cuore.
Per questo mi appello alle istituzioni maremmane dal sindaco e presidente della provincia Antonfrancesco Vivarelli Colonna con la sua giunta, dal primo cittadino di Roccastrada Francesco Limatola, con i suoi assessori, dal senatore Roberto Berardi, agli onorevoli Mario Lolini ed Elisabetta Ripani, ai consiglieri regionali Leonardo MarrasMarco Casucci (che seppur non eletto qui si sta dimostrando attendo alle esigenze della Maremma), ai partiti politici, alle associazioni culturali, ai singoli cittadini, a sostenere i nostri luoghi, a farlo quotidianamente e costantemente. Perché è solo recuperando la nostra storia che possiamo rafforzare la nostra identità ed essere più forti, uniti e compatti anche all'esterno della nostra provincia.

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (1° settembre 2018)

Skywork porta i libri in tribunale, in Svizzera si discute e sono a rischio due aeroporti, ma la vera polemica scoppia in Maremma.
Il vettore elvetico decide di lasciare a terra undicimila persone e di sospendere i voli sulle 20 tratte attivate (il dritto).
In Maremma scoppia dopo poche ore una polemica (soprattutto tra i militanti) che, alla fine, non sembra altro che l'ennesimo scontro tra tifoserie (il rovescio).
L'aspetto dibattito che si sviluppa in Maremma dimostra come, ancora una volta, siamo ben lontani dall'azione comune che servirebbe per lo sviluppo del territorio. Eppure era stata proprio grazie ad un'azione congiunta tra Seam, Camera di Commercio, Provincia, Regione, Aeronautica ed altri soggetti più o meno istituzionali che lo scalo civile aveva potuto giocarsi la sua nuova occasione con i voli di linea attraverso la tratta per Berna. Una possibilità che aveva condotto ad una nuova conquista per il nostro territorio ed una nuova concessione da parte dell'Aeronautica Militare, cioè l'aumento delle ore dedicate ai voli civili. Conquista non da poco per uno scalo inserito in uno dei più importanti aeroporti militari italiani. L'occasione offerta da Skywork è stata una grande possibilità ribadita dal sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna e forse - sempre con il senno di poi e non sul momento perché l'opportunità superava quella rappresentata dal reale valore della tratta Grosseto-Berna - celebrata con grande (troppa?) enfasi mediatica,come sostenuto dal consigliere regionale Leonardo Marras. Questo a testimonianza di un evento su cui, evidentemente, Provincia, a trazione centrodestra, e Regione, targata centrosinistra, si sono spese in prima linea.
A chi giova dunque la polemica? Sicuramente a nessuno se non solo per sostenere il classico "io l'avevo detto". Se è facile citare oggi Il Sole 24 Ore che aveva parlato delle difficoltà di Skywork in tempi non sospetti, c'è l'articolo di Repubblica che proprio ieri ricorda come due aeroporti elvetici avessero puntato proprio su questo vettore per il loro futuro: Berna, ma soprattutto Lugano che rischia di subirne le conseguenze maggiori. Questo per dire che se in Maremma si può a ragion veduta sostenere che questa è stata un'opportunità, in Svizzera, dove la compagnia la conoscevano bene, rischia di essere una sventura.
Allora mi domando ancora: perché dividersi? Perché utilizzare tutto questo per indebolirsi sempre di più, anziché riprendere quel percorso unitario per fare in modo che i voli di Skywork rappresentino un precedente virtuoso? Perché non guardare a realtà vicine in cui, pur nelle contrapposizioni, nel nome della città e della propria terra le varie forze politiche marciano compatte e ottengono di più di noi approfittando delle divisioni che troppo spesso qui si creano?
L'appello è dunque a tornare a marciare uniti, analizzare serenamente gli errori commessi nelle valutazioni, ma ritrovare quella compattezza che di fronte alla richiesta di Skywork aveva portato ad ottenere il risultato di avere i voli di linea al Baccarini. Da qui tornare poi a progettare il futuro di questa infrastruttura che, non dimentichiamolo mai, ha il difficile compito di far convivere le esigenze dello scalo civile con le priorità del militare e della difesa del territorio italiano.