martedì 2 ottobre 2018

IL DRITTO E IL ROVESCIO 🎾 (02 ottobre 2018)

Commissione Ue e Governo italiano sono ormai da tempo ai ferri corti. La nota di aggiornamento del Def ha chiaramente allargato le differenze che dividono l'esecutivo di Roma da quello di Bruxelles.
 Appare evidente che lo scontro può essere considerato forte e, forse, senza precedenti se si tolgono i negoziati della Brexit per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione stessa. Quella, però, chiaramente è una scelta ben diversa, rispetto allo sforare i parametri per uno stato fondatore che opera all'interno della Ue.
 Uno scontro che si inasprisce e che lascia emergere, però, quello politico che c'è dietro alla decisione dell'Italia ed alla reazione dell'Europa.
 Da tempo in questa piccola rubrica vado dicendo che le differenti posizioni non si possono limitare a pochi decimali in percentuale, semmai vanno analizzate nelle visioni della futura Europa che, probabilmente, tra qualche mese potrebbero portare ad un cambiamento degli equilibri all'interno del Parlamento Europeo, tra chi si professa sovranista (o per dire meglio che vorrebbe un'Ue diversa) e chi, invece, punta a mantenere il rigore ed una sorta di status quo in nome di un europeismo che, però, è bene dirlo porta con sé tutte le sue difficoltà.
 E' chiaro che l'Europa ha bisogno di cambiamenti, di nuova solidarietà e minor rigore. E' evidente anche che da queste politiche ci hanno guadagnato in pochi e rimesso in tanti, soprattutto i paesi dell'area del Mediterraneo. Probabilmente l'Italia ci ha rimesso di più per colpe sue (con l'ingresso nella moneta unica si è permesso di raddoppiare i prezzi convertendo 1000 lire con un euro senza controlli) ed anche di altri, cioè la pretesa di maggior rigore temendo la potenzialità di un paese che ha e mantiene un'economia solida. Un paese che può compensare un debito pubblico elevato con un debito privato molto basso. Una nazione che, comunque, nonostante la crisi ha saputo reggere il colpo seppur il rigore europeo abbia dato un colpo non indifferente al Pil.
Personalmente non ritengo che si possa dire che in questa fase ha ragione l'uno o l'altro, di certo c'è qualcosa che va cambiato. L'Italia deve sicuramente fare la sua parte per abbassare il debito, ma l'Europa non può continuare a frenare l'economia di un paese per il volere di pochi.
 Mi sembra poi che il paragone fatto dal presidente della Commissione Juncker tra l'Italia e la Grecia sia fuori luogo, oltre che infondato.
Tornare indietro rispetto all'Europa è evidentemente difficile, se non impossibile, ma pensare ad un'Unione migliore non è sbagliato.
 Se il Governo italiano è il primo di un paese fondatore che difende la propria sovranità andando allo scontro con le istituzioni europee (la Francia lo ha fatto più volte, ma nessuno le ha mai contestato nulla) è evidente che l'attuale Commissione è destinata a perdere la propria forza nel futuro con paesi che sono allineati alla posizione italiana e che da questa traggono forza. Basti pensare che al posto della Mogherini, probabilmente, l'Italia sceglierà un commissario che non avrà il suo stesso concetto di Europa e che il prossimo Parlamento vedrà le forze europeiste più deboli rispetto ad oggi, dove l'asse Ppe-Pse ha continuato a dominare la scena. 
Insomma la battaglia sembra essere solamente all'inizio, le forze contrarie all'attuale modello di Europa si stanno rafforzando e le elezioni sono fissate per il 26 maggio. Non sono dunque esclusi nuovi colpi di scena, considerando che la leva dello spread, quella che costò cara all'ultimo Governo Berlusconi, oggi fa meno paura, considerando anche che lo scenario internazionale vede leader tipo Trump e Putin, o potenze come la Cina, che possono trarre vantaggi da un'Europa debole e che potrebbero essere interessati a sostenere un'Italia ribelle. Dopo la fine di maggio, invece, il corso dell'Unione potrebbe cambiare e le varie posizioni potrebbero alleggerirsi. La dimostrazione viene dalla stessa Merkel che ha lanciato la candidatura di Manfred Weber per la presidenza della Commissione Ue. Un esponente del Ppe che è considerato decisamente tiepido rispetto all'attuale europeismo e che rappresenta una mano tesa rispetto agli euroscettici tedeschi.

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